In materia di fecondazione assistita,soprattutto in determinate fasce d’età, la diagnosi pre-impianto degli embrioni aumenta esponenzialmente le possibilità di successo della stessa. Lo sostiene il responsabile del Centro Procrea di Lugano, in Svizzera.
Queste conclusioni sono giunte dopo lo studio dei dati relativi alla fecondazione assistita raccolti dai ricercatori del centro in merito alle pazienti che si sono sottoposte al processo per rimanere incinte. I benefici dell’analisi pre-impianto, che ricordiamo qui in Italia è stata concessa solamente attraverso l’interessamento del Tribunale e solo in casi specifici, hanno trovato maggiore espressione nella fascia di età che va dai 38 ai 43 anni, quella che potremo definire più a rischio. Commenta in tal senso il dott. Thierry Suter:
Con lo screening del globulo polare i tassi di successo sono passati dal 17 al 42% nella fascia di età tra i 38 ed i 43 anni. Considerando la fascia di età 38-43 anni, abbiamo ottenuto una gravidanza con un trattamento di fecondazione assistita nel 42% dei casi, contro il 17% di prima.
Non dobbiamo dimenticare che talvolta è proprio l’età uno dei maggiori ostacoli per una gravidanza. Sopra ai 40 anni, anche in caso di fecondazione assistita, le percentuali di aborti spontanei e morte prematura del feto se sommate possono raggiungere il 40% dei casi. Numeri incredibili, che sembrano scemare da qualche mese a questa parte proprio grazie alla diagnosi pre-impianto degli embrioni.
Come al solito in questo caso ad entrare in gioco è l’etica. Si sta scegliendo il “bambino migliore”? Si deve parlare di eugenetica? Come sempre il confine in questo caso è molto labile, anche se la tipologia di analisi messa in atto dal centro svizzero si basa sull’analisi del globulo polare, un “prodotto derivato” che non ha nessuna funzione e non sarà parte dell’embrione ma che consente di studiarne completamente il corredo genetico. E quindi, in qualche modo differente dai soliti protocolli. Che ne pensate?
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