Nuova bocciatura sulla procreazione assistita per l’Italia da parte della Corte di Strasburgo. E’ stato, infatti, negato il riesame sulla legge 40 richiesta dal governo italiano in merito ai primi no registrati lo scorso agosto. Si aprono le porte in questo modo ad una fecondazione medicalmente assistita e la diagnosi pre-impianto anche per le coppie interessate da malattie trasmissibili geneticamente.
La legge 40 del 2004 infatti nega alle coppie malate o portatrici sane di queste patologie di poter effettuare una diagnosi pre-impianto evitando che vengano messi al mondo bambini certamente malati e con poche speranze di vita. A livello tecnico si tratta di un rifiuto basato sulla presentazione di una richiesta effettuata su appunti “procedurali” e non di merito. A livello pratico, la vittoria ottenuta ad agosto da parte della coppia italiana che aveva chiesto la possibilità di una diagnosi pre-impianto è stata confermata. Quando si parla di questa procedurs viene spesso sollevato un problema di tipo eugenetico. Il confine, come sempre in questi casi, è molto sottile. E non sempre è facile ragionare con la dovuta freddezza.
La corte europea ha in questo modo confermato di non comprendere il divieto di ricorrere alla diagnosi pre-impianto nei confronti della coppia italiana che l’ha interrogata. E dall’altra parte, sebbene comprensibile, risulta alquanto difficile comprendere dove arrivino davvero i confini reali della “preoccupazione governativa” relativa alla tutela della salute del bambino e della donna e dove la voglia di preservare la libertà di coscienza dei medici scavalchi la libertà di scelta delle persone coinvolte come papabili genitori. L’Italia è uno dei pochi paesi, ricordiamolo, insieme a Svizzera ed Austria a vietare la diagnosi pre-impianto.
Bisognerebbe riflettere su questo punto. Quasi mai tutti gli embrioni di una coppia che si sottopone a procreazione assistita vengono utilizzati e di solito, grazie ad un buco normativo, vengono abbandonati e conservati in una sorta di grande banca di embrioni o mantenuti nel centro di fecondazione se non abbandonati dalla “famiglia”. Si tratta di una decisione giusta? Non penso. Vengono donati a coppie sterili? Non è possibile. In fin dei conti, questo non va mai dimenticato, parliamo di un agglomerato di cellule, non di un individuo. Non sarebbe il caso di mettere a punto delle linee guida non influenzate dalla religione?
Photo Credit | Thinkstock