Le malattie croniche sono responsabili di circa l’80% della mortalità, di una percentuale anche superiore di disabilità e di circa il 70% delle spese sanitarie nella popolazione generale. La presenza di disabilità è associata ad un aumento della mortalità e di eventi avversi quali il ricovero in strutture protette e l’ospedalizzazione. Aumenta poi l’utilizzo di servizi sanitari e sociali. Ciò causa un carico importante di sofferenza e di costi sulla persona affetta da disabilità, sulla sua rete familiare e sul sistema sanitario. La disabilità può essere causata da diverse malattie croniche, per esempio ictus cerebrale, il morbo di Parkinson, l’artrosi, la cardiopatia ischemica.
Una caratteristica della malattia cronica è quella di ridurre le capacità funzionali dell’individuo, cioè la possibilità di compiere le normali azioni quotidiane. La riduzione di tali attività è responsabile della perdita di massa muscolare e di flessibilità. Il calo della resistenza allo sforzo causa diminuzione delle capacità individuali, stanchezza e facile affaticabilità.
La mancanza di partecipazione si traduce a sua volta in calo della motivazione e inevitabile passività. E ancora, la perdita di contatti sociali provoca isolamento, depressione e conseguente mancanza di gioia di vivere. Si viene a creare, dunque, per la persona disabile, un vero e proprio circolo vizioso che si auto potenzia e si auto mantiene.
La sedentarietà è causa di nuove menomazioni, limitazioni funzionali e ulteriore disabilità e queste conseguenze sono indipendenti dall’evento disabilitante primario causato dalla malattia. Come interrompere, allora, questo circolo vizioso?
Incoraggiando la persona disabile a svolgere attività fisica in gruppi selezionati, con il duplice scopo di evitare sia la sedentarietà che l’assenza di contatti sociali. Da qui il progetto di Attività Fisica Adattata (AFA). Ma che cos’è veramente l’AFA? Ci dice il dottor Pagani
“L’AFA non è un’attività riabilitativa, al limite interviene nella fase cronica stabilizzata della malattia, quando il trattamento riabilitativo ha esaurito il suo intervento. È ampiamente dimostrato che in molte malattie croniche il circolo vizioso disabilità-sedentarietà-ulteriore disabilità possa essere spezzato con l’attuazione di adeguati programmi di attività fisica regolare e continuata nel tempo. L’attività fisica viene adattata alle esigenze della persona disabile, alla patologia da cui è affetta, allo stadio della malattia stessa, alle sue capacità, alla presenza o meno di controindicazioni e agli obiettivi del programma. Malgrado siano ormai noti i benefici del movimento fisico regolare e costante nelle persone anziane e con disabilità, sono ben poche le strutture nel nostro Paese in grado di offrire un programma di attività fisica che sappia adattarsi a queste esigenze particolari. L’AFA si occupa proprio di questo, e lo fa non solamente spezzando un circolo vizioso, ma creandone anche uno virtuoso. Uno stile di vita più attivo, a cui sono associati il miglioramento dell’umore e migliori relazioni familiari e sociali, porta inevitabilmente la persona ad avere una migliore massa muscolare, una miglior funzione cardiovascolare, un aumento della flessibilità articolare che, a loro volta, la aiutano a migliorare il senso dell’equilibrio, la fanno camminare meglio, ne aumentano considerevolmente la resistenza allo sforzo. Diminuiscono, quindi, le limitazioni funzionali sovrapposte e questo porta a una minore difficoltà nel compiere le attività della vita quotidiana necessarie per l’autonomia in casa e fuori. Si giunge quindi a una diminuzione della disabilità sovrapposta e ciò permette di condurre uno stile di vita più attivo. Ed è così che il circolo virtuoso ricomincia”.
Il progetto AFA è nato in Toscana dove ha avuto un rapido sviluppo, con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità. Ed esperienze analoghe si stanno fortunatamente sviluppando anche in altre regioni, tra queste possiamo citare il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia Romagna. Ciò che caratterizza davvero l’attività fisica adattata è sì il tipo di attività proposta (la ‘dose’ dell’esercizio, l’adattamento alla patologia specifica, la continuità dell’intervento per tutto l’anno), ma anche il fatto che la gestione sia extrasanitaria. Anche se sempre con la supervisione e il controllo da parte dei sanitari.
Si tratta, in parole povere, di un intervento non sanitario e differente per modalità, attori e contenuti dallo specifico intervento propriamente riabilitativo.