Secondo un editoriale apparso lo scorso martedì sull’organo di stampa vaticano, l’Osservatore Romano (A quarant’anni dal rapporto di Harvard. I segni della morte), firmato da Lucetta Scaraffia , membro del Comitato Nazionale di Bioetica e vice presidente dell’Associazione Scienza e Vita, la dichiarazione di morte cerebrale non sarebbe più sufficiente a sancire la fine della vita.
Questo, afferma la Scaraffia, alla luce di nuove scoperte scientifiche che metterebbero in dubbio la certezza che alla cessazione delle funzioni cerebrali segua inevitabilmente la degenerazione delle funzioni dell’intero organismo.
Ma a cosa ci si riferisce esattamente col termine di morte cerebrale?
Per Morte cerebrale si intende la morte di una persona diagnosticata avvalendosi di criteri cerebrali anzichè cardiologici (secondo quanto stabilito ormai 40 anni fa dal Rapporto di Harvard). La morte viene cioè dichiarata quando l’elettroencefalogramma del paziente risulta piatto.
Questa condizione coincide quindi con la cessazione di tutte le funzioni del cervello: la coscienza, ma anche la respirazione e la circolazione sanguigna. Funzioni queste ultime che vengono mantenute artificialmente per consentire l’ossigenazione degli organi e il loro eventuale prelievo per essere trapiantati.
La diagnosi di morte cerebrale può essere fatta solo in quei pazienti nei quali la cessazione delle funzioni cerebrali si verifica a causa di eventi traumatici come emoraggia intracerebrale massiva, trauma cranico, anossia cerebrale da arresto cardiaco ecc.
Secondo la Scaraffia poichè non sarebbe più certo che la morte del cervello coincida necessariamente con la morte dell’intero organismo, l’attuale accettazione da parte della chiesa del criterio di morte cerebrale non avrebbe più ragione di essere e si porrebbe addirittura in contraddizione con il concetto di persona espresso dalla dottrina cattolica.
Intanto il portavoce del vaticano padre Federico Lombardi fa sapere che le posizioni espresse dalla Scaraffia non riflettono quelle ufficiali della Chiesa.
Ma la polemica è già esplosa e la comunità scientifica o almeno parte di essa è insorta.