Il linfoma di Hodgkin è una delle forme tumorali del siete linfatico tra le più ostiche da combattere. Ora uno studio condotto dall’Istituto Nazionale dei Tumori ha dimostrato come la terapia italiana ABVD sia da preferire al programma BEACOPP dei ricercatori tedeschi come protocollo terapeutico da intraprendere. Due acronimi impossibili da sciogliere che puntano a rappresentare ancora il futuro delle terapie per questo tipo di tumore.Gli scienziati sono arrivati a queste conclusioni dopo 7 anni di follow up, misurando la risoluzione dei casi e l’evoluzione dello stato di salute dei pazienti sottoposti ai diversi cicli di chemioterapia. I ricercatori verificato che sul lungo periodo la terapia di ideazione italiana è più vantaggiosa per il malato, non in percentuale di probabilità di guarigione, uguale per entrambe le terapie, ma per la maggiore tolleranza del paziente nei suoi confronti e per la minore incidenza di complicanze e rischi per la saluta.
I risultati della ricerca, portata avanti in collaborazione con l’università degli studi di Milano, verranno pubblicati a breve sul New England Journal of Medicine, importante rivista di settore.
Lo studio ha preso in considerazione 331 pazienti sofferenti di questo particolare tipo di linfoma, suddivisi in due gruppi e curati con le due diverse terapie. Dopo sette anni dalla diagnosi non avevano mostrato recidive l’85% dei pazienti trattati con il farmaco tedesco ed il 73% di quelli curati con il mix italiano. Gli scienziati si sono quindi concentrati a capire sul lungo periodo, in base anche alla recidività del tumore quale fosse il medicinale con maggiori possibilità di guarigione in collaborazione con un trapianto di cellule staminali ematopoietiche.
Ed è stato proprio qui il momento nel quale è mersa la differenza tra le due terapie ed il loro l funzionamento: il 33% dei pazienti curati con ABVD sono riusciti a riprendersi la percentuale è scesa al 15% in quelli trattati con il farmaco tedesco.
Sebbene la sopravvivenza sia più alta in quest’ultimo metodo (88% rispetto all’82% italiano), essenzialmente la possibilità di farcela per i due gruppi è la stessa. Come spiega Alessandro M. Gianni, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e coordinatore della ricerca:
A sette anni dall’inizio della terapia, non esistono differenze significative tra i due gruppi. I motivi di questo risultato sono l’efficacia e l’ottima tollerabilità dei trattamenti così detti di seconda linea o di salvataggio, che oggi ci consentono di guarire molti dei pazienti che ricadono dopo un trattamento iniziale. Su questa base è quindi ovvio scegliere il trattamento, l’ABVD, che offre al paziente la migliore qualità di vita perché meno tossico e con minore rischio di complicanze.
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Fonte: Corriere della Sera