L’aracnofobia è una delle zoofobie (relative cioè ad animali) più diffuse. L’oggetto verso la quale è espressa la fobia non è altro che un “contenitore” poiché in tutte le fobie l’aspetto rilevante è l’angoscia e non il singolo animale o qualunque altra cosa, dalla paura dei ragni a quella degli spazi chiusi.
In termini generali, la fobia scaturisce da una sorta di paradosso irrazionale, vale a dire da una difficoltà da parte della coscienza a fronteggiare un suo contenuto. Per questo motivo, non è importante la forma che prende questo contenuto, ma l’angoscia che lo alimenta. Il meccanismo della paura è riconducibile all’età infantile, ossia a quell’età dove le difese dell’Io con le quali far fronte ai vissuti interni, non sono ancora solide e consolidate. L’angoscia provata in questa fase della vita così precoce e che spesso è legata alle difficoltà relazionali con le figure adulte di riferimento non può essere elaborata con efficacia.
L’angoscia inespressa crea un senso di pericolo che non si sa come gestire, ed è a questo punto che si innesca il meccanismo di difesa dell’inconscio, che sposta questa carica interna avvertita come pericolosa verso un oggetto esterno, semplicemente perché così può essere evitato più facilmente. Tuttavia, le paure possono condizionare negativamente la vita di una persona, senza considerare che, come tutti i meccanismi, anche quello della fobia può essere viziato da una sorta di falla, provocando una fuoriuscita dell’angoscia in modo esplosivo.
Per quanto riguarda una possibile cura a tali fobie esistono diversi approcci. Quello di stampo psicanalitico, ad esempio, cerca d’individuare la vera essenza del complesso spostato sulla forma, e di munire il paziente di strumenti utili ad un’adeguata rielaborazione, mentre quello di stampo comportamentista, finalizzata all’eliminazione del sintomo, è basata su meccanismi di condizionamento attraverso tecniche di familiarizzazione e assuefazione allo stimolo fobico. Molto interessate è la tecnica basata sulla realtà virtuale, oggi impiegata da alcuni psicologi.
Il trattamento prevede l’immersione in un ambiente virtuale che rappresenta l’oggetto della fobia, l e immagini generate da un computer sono inviate ai display contenuti in un casco. La sequenza trasmessa all’occhio destro è leggermente diversa da quella trasmessa all’occhio sinistro e questo crea l’effetto della tridimensionalità. Dei sensori nel casco registrano i movimenti della testa del paziente e adeguano la scena che si vede nei display. Il trattamento funziona. Il paziente viene esposto via via a scene sempre più spaventose per lui e la sua mente reagisce abituandosi.
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