Quando si parla di terapie anticoncezionali come la pillola del giorno dopo, si rischia sempre di scontrarsi, a livello sociale, con le credenze personali della persona adibita alla distribuzione di questo bene farmacologico. E quello che dovrebbe essere uno strumento a favore del cittadino diventa spesso una giunga inestricabile nel quale i diritti della persona finiscono di essere calpestati. Come è accaduto a Roma.
Una inchiesta giornalistica ha infatti sottolineato come sia quasi impossibile, al pari di altre cittadine italiane, farsi prescrivere e acquistare la pillola del giorno dopo in meno di 72 ore nella Capitale. La colpa di tutto sembra essere del grandissimo numero di obiettori di coscienza tra farmacisti e medici di famiglia. Si passa dal rifiuto vago e poco giustificato all’ammissione di obiezione più esplicita.
In entrambi i casi il risultato consiste nella difficoltà per le donne e le coppie di usufruire della pillola del giorno dopo per evitare la “probabilità” di una gravidanza. Questo punto deve essere sottolineato: si parla di possibilità, di un anticoncezionale e non di una pillola abortiva. E deve essere evidenziata anche la necessità per la persona, di assumere la pillola nei tre giorni successivi al rapporto sessuale, per ottenere la validità del metodo contraccettivo.
In tal senso esempio più recente è riscontrabile nella storia di una ragazza trentenne di Roma la cui odissea, grazie all’interessamento di un partito politico, è giunta fino al Parlamento Italiano ed al consiglio della Regione Lazio. Le interrogazioni presentate presso entrambi i poli governativi raccontano di una storia che se non fosse vera sembrerebbe quasi inventata per le difficoltà che la ragazza ha incontrato.
Il primo rifiuto le arriva dal medico di famiglia, che senza alcun rimorso, sostenendo di essere obiettore di coscienza le nega la prescrizione. Nasce quindi la necessità di rivolgersi per la giovane al pronto soccorso. Sia quello dell’Ospedale Spallanzani che quello del San Camillo, ospedali di zona, le negano la prescrizione con diverse scusanti, a partire da quella relativa alla non “specializzazione” dell’ospedale, fino a quella della “non urgenza” della necessità della giovane.
Porte sbarrate anche al consultorio di Via della Magliana perché diversa zona di appartenenza. La giovane riesce ad ottenere la ricetta presso il consultorio di via Brugnato, nel Portuense. Dopodiché i problemi si spostano sulla reperibilità della pillola. Nelle vicinanze del consultorio non la hanno, mentre in zona Marconi sono obiettori di coscienza. Per ottenere il farmaco la giovane è dovuta arrivare a via Ostiense, ad una distanza discreta dalla sua zona di competenza.
Un’odissea socialmente ingiustificabile sulla quale è stata richiesta ai due organi statali chiarezza: possono dei pronto soccorso rifiutarsi di fare una ricetta di tale tipologia? Ed è legale che una farmacia si rifiuti di vendere un farmaco regolarmente prescritto?
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Fonte: Repubblica