Oggi le lauree in Medicina, in Italia come in altri Paesi, sono appannaggio delle donne. A fare il punto della situazione è il Bmj con un editoriale che vede il confronto-scontro di due esperti in materia: Brian McKinstry, ricercatore presso l’Università di Edimburgo, e Jane Dacre, ricercatrice dell’University College di Londra. Per McKinstry la supremazia al femminile è già evidente negli ospedali dove la maggioranza dei lavoratori sopra i 45 anni è uomo mentre la maggioranza di quelli
età inferiore a 45 anni è donna. E questo suscita forte scetticismo.
età inferiore a 45 anni è donna. E questo suscita forte scetticismo.
Non la pensa così la Dacre, per la quale la cospicua presenza femminile nelle strutture ospedaliere rappresenta una vera opportunità che tutti dovrebbero saper cogliere. Invece di preoccuparsi tanto, bisognerebbe assicurare pari opportunità alle donne in medicina. Questo campo deve attirare i migliori cervelli a prescindere dal sesso, ma per accogliere meglio le donne bisogna ancora abbattere barriere come la scarsa accettazione del lavoro part-time o i pochi aiuti nella cura dei figli da parte delle istituzioni. La situazione italiana attuale è molto simile a quella descritta dal Bmj: le donne medico sono in continua crescita tanto che si è passati dal 25% degli anni Novanta al 35% odierno.
Se si considerano solo le generazioni più giovani, si raggiunge addirittura 60%. Tante le donne laureate, ma pochissime nei ruoli apicali, da sempre ricoperti da uomini. Le ragioni di questa sproporzione tra un’amplissima offerta di medici “al femminile” e la scarsa percentuale di esse tra gli incarichi di prestigio (poco più del 5%) sono state discusse recentemente a Verona, presso il Policlinico G. Rossi, in un incontro dal titolo significativo «women treating women», dedicato al ruolo delle donne nella Sanità.
Dal convegno è emerso che se oggi le laureate in Medicina superano già abbondantemente il 50%, ci si aspetta che in pochi anni raggiungano addirittura l’80 per cento. Eppure permane un indirizzo fortemente maschile nei livelli più alti di carriera: cattedre universitarie, primariati, direzioni di ordini dei medici o presidenze di società scientifiche. Le ragioni non vanno cercate in campo professionale quanto piuttosto sul piano sociale che ancora oggi vede la donna come figura centrale della famiglia e quindi spesso costretta a sacrificare la sua carriera per poter portare avanti il benessere e l’educazione dei figli.
Per le donne medico il problema è quindi simile a quello di tutte le lavoratrici: consentire anche alle italiane di svolgere sia il ruolo di madri sia quello di esperte professioniste che vogliono mettere a frutto tutte le proprie competenze. Nel corso del convegno veronese si è parlato di prevedere orari part-time, creare asili nido negli ospedali e promuovere agevolazioni per tutte le donne medico che hanno una famiglia. I medici donna rivendicano il diritto di poter lavorare bene come gli uomini e, per quanto riguarda i ruoli di primo piano, affermano il valore aggiunto che potrebbe essere garantito da una professionista donna in specialità ad alto “contenuto emotivo e relazionale“, come per esempio l’oncologia.