L’Italia in materia di disabilità è un paese molto arretrato. Non solo per la mancanza spesso e volentieri di leggi specifiche che tutelino la popolazione che ne è affetta, ma soprattutto per tutte quelle barriere che sono naturalmente poste nella loro via. Mancanza di scivoli che consentano di saltare gradini, bagni appositi nei luoghi pubblici. Per la donna disabile il problema raddoppia. In ogni senso, sia dal punto di vista architettonico che medico.
Prendiamo le strutture: spesso e volentieri i consultori non presentano nemmeno percorsi adatti all’entrata della donna affetta da disabilità al loro interno. E non possiamo fermarci alle barriere architettoniche. Proviamo a pensare ad una visita ginecologica: come raggiungere i lettini. Poi, va sottolineato, per una donna essere disabile significa molto spesso rinunciare alla maternità. Almeno a stare a sentire la maggior parte dei medici, che sconsigliano una gravidanza.
La cosa che fa più male alle donne in questa condizione è essere considerate non idonee ancor peggio del loro corrispettivo maschile, come se l’eventuale disabilità della donna non la rendesse idonea a nulla. Specialmente in caso di cecità e problemi di mobilità degli arti. Il primo esempio che mi viene in mente è quella madre statunitense senza braccia. Non solo si è sposata con un uomo che la adora, ma si prende cura dei propri figli amorevolmente. Ha imparato a fare tutto con i propri piedi.
Prende quindi lo sconforto quando ci si trova davanti ad adozioni mancate per via della cecità o a discriminazioni di altro genere. Da qualche mese a questa parte però, anche grazie ad alcune storie di cronaca impossibili da accettare socialmente, qualcosa si sta muovendo, e sono sempre di più le singole città che insieme alle associazioni di settore sostengono la tematica, adoperandosi per eliminare tutte quelle incredibili barriere che non consentono alla donna di vivere la propria condizione di disabilità senza doversi oltretutto sentire discriminata.
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Fonte: Corriere della Sera