Dagli Usa arriva la prima cura preventiva contro l’Aids. Stiamo parlando del farmaco Truvada, fino ad oggi utilizzato esclusivamente per il trattamento delle persone già infette dall’HIV, ma che ha dimostrato di essere efficace anche nella prevenzione della malattia. La Food and Drug Administration, l’Agenzia americana competente, a seguito del parere favorevole espresso da una commissione di 22 esperti, si riserva di decidere se approvare o meno la nuova indicazione terapeutica entro il 15 giugno.
Truvada (i principi attivi sono il tenofovir disoproxil e l’emtricitabina), prodotto dall’azienda farmaceutica Foster City Gilead Sciences Inc., è una combinazioni di antiretrovirali da anni prescritto ai pazienti sieropositivi, tuttavia, uno studio della Stanford University condotto dal 2007 al 2009 in 6 Paesi (tra cui anche Stati Uniti, Brasile e Sudafrica), e pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine nel 2010, ha dimostrato la sua efficacia nella prevenzione dell’Aids nelle categorie più a rischio, come gli omosessuali o le coppie in cui uno dei partner è infetto.
Il farmaco, infatti, in commercio già dal 2004, sarebbe in grado di ridurre il contagio del 44%, e del 75% se usato in congiunzione con i profilattici.
Alcune associazioni, tuttavia, temono, in questo modo, che si incentivino i comportamenti ad alto rischio. Sapere di avere a disposizione una pillola che in linea teorica riduce il contagio con il virus HIV può indurre le coppie gay o bisessuali, ma anche gli eterosessuali con un partner sieropositivo, ad abbassare troppo la guardia.
Come ha spiegato Michale Weinstein della Aids Healthcare Foundationd di Los Angeles:
Sarebbe una catastrofe nell’ambito della prevenzione dell’Aids in America.
I ricercatori Stanford University, infatti, hanno tenuto a precisare che per ottenere la protezione necessaria l’adesione del paziente deve essere puntuale e rigorosa. Inoltre, secondo alcuni esperti, le donne per prevenire l’infezione da HIV potrebbero avere bisogno del farmaco in dosi più massicce. Certamente, qualora venisse approvata la nuova indicazione terapeutica, potrebbe risparmiare ai pazienti una malattia che richiede cure per tutta la vita, oltre che rischiosa.
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