E’ stato eliminato, dopo 30 anni, il divieto di donazione del sangue per i gay. Lo ha annunciato la Food and Drug Administration statunitense. Cade il veto ma non resta che constatare purtroppo che, nonostante tutto, permanga il pregiudizio.
Gli uomini omosessuali infatti potranno effettuare una donazione di sangue solo se in castità per almeno 12 mesi prima del prelievo. Quel che sembra essere stato un passo in avanti verso la cessazione di una pagina pessima della medicina si è rivelato essere in realtà un contentino che si spera possa rappresentare solo il primo passo verso la caduta totale di una norma socialmente inaccettabile. Soprattutto perché nata per prevenire il contagio e la diffusione dell’AIDS in periodi nei quali della malattia si sapeva molto poco.
Analisi del sangue e test specifici sono a disposizione della medicina per verificare la presenza o meno del virus: fattore che, ovviamente, non differisce se una persona è omosessuale o meno. Rapporti non protetti e comportamenti promiscui sono tipici delle persone, non della loro sessualità. E’ quindi incomprensibile il permanere di una clausola così restrittiva come quella dei 12 mesi di astinenza, e va sottolineato, solo per gli uomini gay. Questa politica ricalca quella di Australia, Inghilterra e Nuova Zelanda: anche in questi stati è previsto un periodo di un anno senza rapporti sessuali prima della donazione.
La Food and Drug Administration ha basato la sua decisione sugli studi che provano come non vi sia un rischio più alto di contrarre l’HIV, tramite trasfusione da sangue di persone omosessuali, se viene rispettato un anno di astinenza. E’ impossibile non pensare che, a livello pratico, si rifiuti il sangue di persone perfettamente in salute e spesso in relazioni monogame mentre si accetti senza problemi (in base alla sessualità) quello di individui che potrebbero aver messo a rischio la loro salute con continui incontri casuali. E’ qualcosa sulla quale bisognerebbe riflettere.
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