Nel settore medico e sanitario, chi non è esperto del campo, dovrebbe attenersi alle prescrizioni fatte dal dottore, evitando di intraprendere terapie più o meno personalizzate. Se, nonostante i costi a volte notevoli, questo è un concetto più o meno rispettato, il problema si pone di fronte ai farmaci branded e a quelli che, invece, non lo sono ma garantiscono il medesimo principio attivo. La domanda è: hanno sempre gli stessi effetti? Questa novità, ormai relativamente nuova, tende a creare confusione tra i pazienti che molto spesso interrompono la cura prescritta, ricominciandola in modo non sempre corretta. In questo caso, piano piano si tende a prendersi la libertà di modificare leggermente dosi, orari e modi di assunzione causando scarsa Aderenza o, addirittura scarsa Persistenza, se si sospende il trattamento troppo spesso.
I farmaci generici, in questo caso, non devono essere demonizzati, anzi nella maggior parte dei casi funzionano seppure è difficile verificare se richiedono una differente quantità di somministrazione per avere effetto, eppure tendono ad andare per la maggiore per un semplice motivo: chi li acquista non deve pagare in più come avviene con il farmaco brand e non deve farlo con i propri soldi. Se, ancora, il rapporto medico-paziente è di scarsa fiducia o di rara frequentazione, si rischia di fare di testa propria con effetti più o meno significativi sulla cura della propria patologia. Più che altro il pericolo è di scarsa efficacia anche perché quando si riducono l’aderenza e la persistenza a lungo andare i costi aumentano per le cure aggiuntive e la malattia può peggiorare. Quindi, il farmaco generico potrebbe andare bene, ma sempre sotto consiglio di un esperto e soprattutto di fronte ad una cura lunga e più intensa bisogna non agire con leggerezza.
Gli studi effettuati in merito, in particolare, hanno evidenziato che nel caso di particolari farmaci, dagli antidepressivi agli antipertensivi, con i farmaci generici la ridotta aderenza tende ad aumentare. Questo innanzitutto perché se si sostituisce quello originale, può modificarsi l’equivalenza terapeutica. In pratica, per i farmaci generici, a causa delle attuali leggi, è obbligatorio dimostrare solo la bioequivalenza,, cioè la similitudine (non l’identità) tra le concentrazioni plasmatiche nel tempo con un ampio margine di tolleranza rispetto al farmaco originale che va dal -20 al + 25%. Se poi questi sono bioequivalenti con il branded ma non fra loro, è chiaro che la confusione tende a crearsi. Non ultimo è diverso anche l’aspetto del farmaco e il colore, dettaglio non da poco nel mantenimento di una corretta terapia. Passare da uno all’alto, dunque, può portare ad oscillazioni dei livelli ematici. Il medico stesso, dunque, si trova spiazzato di fronte a questa non certezza assoluta sulla medesima efficacia e pur sapendo che un non branded male non fa, deve però prescrivere per sicurezza l’altro. Diverso è il discorso negli Usa ad esempio, dove esiste un elenco dei generici interscambiabili tra di loro.