L’osteoporosi è una di quelle patologie che, perché frequente e nota, viene spesso sottovalutata. Inizialmente è silente e si manifesta nella maggior parte dei casi quando ormai è in fase avanzata, con una frattura inaspettata. Molto si sarebbe potuto fare con un approccio culturale alla malattia, diverso. E’ con questo scopo che è nata l’idea di realizzare uno studio sulla qualità della gestione della malattia, promosso da ONDa (Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Donne), i cui dati sono stati appena presentati.
Le cifre sono sconfortanti e saranno una fondamentale base da cui partire per migliorare le cose. L’analisi si è svolta su un campione di donne affette da osteoporosi di età compresa tra i 65 ed i 75 anni: queste solo nel 10% si sono dichiarate correttamente seguite nella cura. Troppo poco se si considera che questa patologia caratterizza almeno 3 milioni e mezzo di donne in Italia, una cifra che diventa estremamente preoccupante se se ne considerano i costi sociali (della frattura conseguente e della disabilità correlata) oltre che psicologici sulle pazienti stesse.
E l’aspettativa non è delle più rosee per il futuro, visto l’allungamento costante dell’età media e soprattutto il prolungamento dell’età lavorativa! Ma cosa manca veramente? Di sicuro è emerso dall’analisi che siamo carenti di una figura di riferimento, uno specialista che sia in grado di cogliere i primi sintomi, o di valutare il percorso di controllo nelle donne particolarmente a rischio (per menopausa precoce, familiarità, magrezza eccessiva, ecc). Ci si rivolge ad un medico per una terapia solo dopo la diagnosi, che spesso avviene fortuitamente, in seguito ad una frattura o all’indagine per altre patologie dovute all’età che avanza. Inoltre le terapie, oggi esistenti, oltre ad essere efficaci sono anche molto diversificate dal punto di vista dell’assunzione e dei costi. Ma le innovazioni, spesso richieste dalle donne stesse, non vengono adeguatamente proposte dai medici ai quali si rivolgono.
Sono spesso costose, e dovendo essere assunte in maniera cronica, questo rende più facile l’abbandono della cura da parte delle donne stesse. L’abbandono terapeutico è un altro grande problema che riguarda la malattia dell’osteoporosi: e le donne non risultano essere abbastanza informate sulla gravità della questione, ad un anno dalla frattura da osteoporosi infatti vi è una mortalità che tocca il 20% della casistica totale ed il 40% della disabilità motoria, oltre che un aumento della permanenza in strutture per la lungodegenza. Prevenire fin da giovani con uno stile di vita sano, l’adeguata assunzione di vitamina D, l’esposizione al sole, ed un minimo di attività motoria è fondamentale, ma non bisogna mai abbassare la guardia nei confronti dell’osteoporosi. Occorre un impegno da parte di tutte le categorie professionali ed istituzioni preposte.
Fonte: ONDa
Foto: Thinkstock