Il dato riguardante i parti cesarei record in Italia rispetto agli altri Paesi europei era noto già da tempo. Nel nostro Paese infatti il 37% dei parti avviene con l’intervento chirurgico. Molti di più rispetto alla Francia (20,2%) e all’Inghilterra (23%). Ma come mai? In un convegno che si sta tenendo a Bari in questi giorni, i medici spiegano il perché.
Le motivazioni sono tante, ma incredibilmente quella più comune è la paura di un medico delle conseguenze legali se qualcosa dovesse andare storto. I casi di incidenti e di malasanità sono numerosi, non solo per incompetenze dei medici stessi, ma spesso per mancanza di personale (due terzi delle sale parto non hanno un anestesista, a volte mancano le ostetriche), o per mancanza di attrezzature. Ma in molti casi sono le donne stesse che, per ignoranza o per scelta consapevole per paura del dolore, chiedono di operare chirurgicamente.
Questi i “freddi” numeri: secondo un sondaggio effettuato durante il convegno, in forma anonima, il 35% dei ginecologi italiani lo fa per paura dei problemi legali; il 24% per una carenza di formazione professionale; il 19% per mancanza di personale ed il 16% per mancanza di informazione che porta la donna a richiedere espressamente questo tipo di operazione. Solo il 6% dunque sono le donne che hanno paura del dolore e, nonostante siano ben informate e abbiano a disposizione tutti i mezzi per un travaglio naturale, preferiscono il cesareo.
Spiega Giorgio Vittori, presidente Sigo (Società Italiana Ginecologia e Ostetricia) che non è una questione di costi:
C’è disinteresse e devalorizzazione del femminile. Il costo di un parto naturale ormai equivale a quello di un cesareo perché comunque c’è bisogno di ginecologo, ostetrica, anestesista, personale parasanitario, anche durante il travaglio. Dove si può si aggiunge il costo dell’anestesia epidurale, ma un parto costa comunque molto meno di un’operazione di appendicite. È questione di cultura.
In Italia il maggior numero di parti cesarei avviene in Campania, dove si raggiungono le soglie del 60%, una cifra considerata “assurda” da Antonio Chiantera, segretario nazionale Aogoi (Associazione Italiana Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri), seguita da Basilicata (50,5%) e Puglia (45,8%). Il minor numero di casi invece avviene in Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia dove si sfiora il 20%.
[Fonte: Repubblica]