Home » LE ETA' DELLA SALUTE » La Salute in Gravidanza » Vaginiti in gravidanza? Meglio curarle subito

Vaginiti in gravidanza? Meglio curarle subito


Normalmente la vagina è colonizzata da un lattobacillo (il bacillo di Dóderlein) che, degradando il glucosio in acido lattico, rende acido il pH vaginale, con valori fra 3,4 e 4,5. Ed è proprio l’acidità del fluido vaginale a difendere questo organo dalle infezioni, impedendo la crescita di altri batteri potenzialmente dannosi. Se vi sono alterazioni del pH vaginale, il bacillo di Dóderlein diminuisce e ne vengono meno i poteri difensivi, con una conseguente maggiore facilità all’instaurarsi di vaginiti.

Tale condizione si verifica più frequentemente nell’infanzia, subito dopo il ciclo mestruale, dopo il parto e in menopausa. Patologie croniche, stress e malattie metaboliche (come, per esempio, il diabete) possono favorire l’insorgenza di queste infezioni. Le vaginiti possono essere provocate da batteri: streptococchi, stafilococchi, enterococchi, Gardnerella vaginalis e molti altri. Oppure da funghi come la Candida albicans. O, ancora, da altri agenti patogeni, come il Tricomonas vaginalis.


Gli agenti che le determinano possono essere normalmente presenti nella vaginale, come accade per la Candida albicans o la Garella vaginalis, e in certi casi possono moltiplicarsi a tal punto da determinare sintomi fastidiosi. Oppure possono provenire dall’ambiente esterno, per esempio tramite la via sessuale. La terapia è specifica e viene prescritta dal ginecologo in base all’elemento patogeno individuato.

Durante i nove mesi dell’attesa la frequenza delle vaginiti non aumenta, salvo che per quelle ingenerate da Candida albicans, e la sintomatologia è uguale a quella che si riscontra fuori dalla gestazione: bruciore, prurito, perdite vaginali e, a volte, disturbi alla minzione. Le forme asintomatiche risultano, invece, meno frequenti. C’è però un fattore importante di cui tenere conto: numerosi studi hanno dimostrato che la presenza di vaginiti batteriche in gravidanza è associata alla rottura prematura delle membrane e alla minaccia di parto prematuro.

Tuttavia, la ricerca e il trattamento delle vaginiti anche in donne asintomatiche non ha messo in evidenza una riduzione del rischio generico di parto prematuro. Per questo motivo, al momento, i tamponi vaginali per ricercare eventuali batteri non vengono effettuati a tutte le gestanti, ma soltanto a quelle che mostrano i sintomi specifici dell’infezione, oppure se vi è un reale pericolo di parto prematuro. Quindi la futura mamma, qualora avverta la sintomatologia tipica delle vaginiti, deve recarsi dal proprio ginecologo affinché venga tempestivamente ricercata e trattata l’infezione. Inoltre, se la donna mostra un rischio aumentato di parto prematuro, se sono cioè presenti contrazioni e/o modificazioni del collo uterino, il ginecologo eseguirà dei tamponi vaginali e curerà eventuali infezioni che, come si è visto, possono favorire il concretizzarsi di una nascita precoce.

Un discorso a parte è quello dell’infezione vaginale da Streptococco B-emolitico di cui dal 5 al 40% delle donne è portatrice asintomatica a livello vaginale e/o rettale. Questa condizione è innocua per la donna, ma può provocare un’infezione neonatale grave qualora il bimbo sia contagiato dal batterio durante il parto. Per questo motivo, verso la 36a-37a settimana è sempre raccomandabile eseguire un tampone vagino-rettale per la ricerca dello Streptococco B-emolitico. Qualora il tampone dovesse risultare positivo, l’eventuale terapia antibiotica (eseguita per via endovenosa) con ampicillina verrà iniziata al momento del travaglio, in maniera tale da poter, fornire un’adeguata protezione al nascituro.