Si celebra oggi 25 novembre la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle donne. Mai come quest’anno tale evento sembra essere seguito e destare l’attenzione dei Mass Media. E’ forse giunta l’ora? In Italia a tutt’oggi dall’inizio dell’anno sono state uccise 128 donne, cifra destinata a crescere purtroppo nonostante i vari decreti e le leggi sullo stalking e sui femminicidi.
Il problema però non è solo italiano, ma globale. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) circa il 71% delle donne tra i 15 ed i 49 anni subisce almeno una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale, dal partner o persona con legami affettivi sociali nella maggior parte dei casi, più raramente anche da sconosciuti. Tutto ciò mette la vittima in condizioni di fragilità fisica, emotiva, disabilità, danni organici, riproduttivi, mentali: spesso le donne vengono contagiate da malattie a trasmissione sessuale, HIV compreso.
La violenza sulle donne in questo contesto va vista anche come un problema di salute pubblica. Proprio in questi giorni, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne è stato presentato uno studio ricco di dati economici: assistere le vittime costa ogni anno allo Stato Italiano circa 17 miliardi di euro (quasi mezza finanziaria ndr ), senza contare il numero in calcolato di donne che subiscono in silenzio senza chiedere aiuto o farsi fare medicazioni.
Va sottolineato come questi aspetti non abbiano nulla a che vedere con il ceto sociale, perché si manifestano in ogni ambiente, con le modalità più differenti. Ma soprattutto va fatta chiarezza sui termini. Le Nazioni Unite definiscono la violenza contro le donne come “ogni atto intento a provocare un danno fisico, sessuale, psicologico nei confronti di una persona di genere femminile, in quanto tale, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia in pubblico che nella vita privata. “
La disuguaglianza delle donne rispetto agli uomini e l’uso normativo della violenza per risolvere i conflitti sono strettamente associate a tutte le forme di violenza di cui stiamo parlando, ma di certo né queste, ne il gesto estremo del femminicidio è da considerare come atto di persona malata di mente.
La Società Italiana di Psichiatria (SIP) pone l’accento, in occasione di questa giornata, proprio su tale aspetto con una dichiarazione ufficiale del Presidente Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale – Ospedale Fatebenefratelli di Milano:
“Secondo alcuni dati scientifici, alla base dei femminicidi non ci sono patologie mentali. Specificatamente, l’ultimo studio dell’Istituto Europeo di Ricerche Economiche e Sociali (Eu.r.e.s.), ha dimostrato come in oltre 400 casi, solo il 3,6 % degli uomini che hanno ucciso una donna erano portatori di malattie mentali. Pertanto non è più accettabile alcuna giustificazione psichiatrica nei casi di femminicidio. È quanto la Società Italiana di Psichiatria (SIP) propone alle associazioni dei magistrati e alle Istituzioni, affinché il ricorso alla perizia psichiatrica sia effettuato solo in casi eccezionali. Nella stragrande maggioranza dei casi infatti, gli uomini protagonisti sono solo caratterizzati da un comportamento violento, aggressivo, prepotente, in quanto personalità antisociale ed egoistica, che non tollerano la possibilità per la donna di operare scelte diverse e autonome. “
“Troppo spesso,-continua Mencacci- gli uomini autori di questo tipo di reato ricorrono a giustificazioni psicopatologiche prive di fondamento, con lo scopo di far ridurre sensibilmente, fino ad azzerare le pene che erano state comminate”.
E purtroppo questo significa vendetta e quindi ancora violenza e morte, come la cronaca ci insegna quotidianamente.