Tre casi di bambini molto piccoli morti poco dopo le dimissioni dall’ospedale o in attesa di posti letto. Nella sanità italiana al sud qualcosa non sta funzionando nel modo giusto e la morte di innocenti creature non fa altro che agire come un megafono che amplifica il problema di malasanità pre-esistente.
La bambina morta a Catania in ambulanza perché rifiutata da diversi ospedali ed il bambino di 23 mesi deceduto poche ore dopo le dimissioni dal nosocomio nel quale era stato presentato al pronto soccorso sono solo l’espressione di una problematica che colpisce le strutture ospedaliere di tutta Italia con particolare incidenza nel meridione: il risparmio e la superficialità vincono sulla salute dei pazienti. E quando la scure della malasanità colpisce dei piccoli indifesi la rabbia si mescola all’incredulità nei confronti di una crudeltà che non si sa come combattere. Il piccolo Daniel a Trapani era stato portato al pronto soccorso a causa di una febbre altissima. I medici lo hanno dimesso dopo avergli diagnosticato un’influenza. Tempo poche ore ed è morto. Degli accertamenti sono in corso: potrebbe trattarsi di meningite.
Caso analogo quello della neonata di 8 mesi a Napoli, curata per una bronchiolite, dimessa dopo 4 giorni e morta nemmeno 24 ore dopo. Le tempistiche e le modalità puntano il dito su una sanità che evidentemente non raggiunge gli standard che dovrebbe possedere. Ed archiviare ciò che è accaduto come incidente di malasanità non è sufficiente. Una volta conclusesi le indagini bisogna partire dai risultati e puntare su una riformulazioni dei protocolli di emergenza e terapeutici. Determinati tipi di errori non sono accettabili, a prescindere che una famigli intenda o meno sporgere denuncia. Non si può confondere un’influenza con una meningite se i sospetti verranno confermati. E non si può morire in ambulanza perché non ci sono posti: un’assistenza di emergenza valida deve essere garantita. E deve essere di qualità. Altrimenti si rischia la vita.
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