Per la cura del tumore del fegato, anche l’ospedale di Pisa ha avviato la radioembolizzazione, una metodica terapeutica estremamente complessa ed avanzata, attualmente praticata solo da pochi centri specializzati in Italia, che combina le possibilità offerte dall’embolizzazione e dalla radioterapia. Tale tecnica è indicata principalmente per la terapia dell’epatocarcinoma complicato dalla trombosi della vena porta e per metastasi epatiche derivanti da tumori neuroendocrini.
La radioembolizzazione è una particolare metodica impiegata in pochi centri italiani (Fondazione IRCCS “Istituto Tumori Milano”, Policlinico S. Orsola Malpighi Bologna, Istituto Tumori “Regina Elena” di Roma) da circa 1 anno e mezzo. In Toscana non era mai stata eseguita fino ad oggi, ed è una tecnica molto promettente, poiché consente di fare radioterapia dall’interno nel fegato e nel tumore, in casi ben selezionati.
Si tratta quindi di una possibilità terapeutica aggiuntiva rispetto alle terapie sistemiche (chemioterapia e farmaci neo-angiogenetici) e alle metodiche di radiologia interventistica come l’alcolizzazione, la termo ablazione, la chemioembolizzazione (iniezione di farmaco e chiusura dell’arteria). Con questa metodica innovativa è possibile intervenire anche nei casi in cui il cancro al fegato e in fase avanzata, ottenendo spesso una remissione parziale della malattia, con conseguente allungamento dell’aspettativa di vita.
La radioembolizzazione è una procedura molto complessa, perché prevede uno studio preliminare, con una TC ad alta definizione, e uno studio angiografico che consenta di visualizzare se ci sono arterie che portano sangue verso organi (es. stomaco, pancreas, intestino o polmone) dove le particelle non devono arrivare.
Per avere quindi la certezza che non ci siano fughe di particelle caricate con ittrio in sede extraepatica occorre embolizzare (ossia chiudere) le arterie visibili con spirali metalliche e poi iniettare dei macroaggregati, marcati con tecnezio, dalla sede vascolare dalla quale poi sarà iniettato l’ittrio.
A quel punto il paziente esce dalla sala angiografica ed entra in medicina nucleare, dove viene eseguita una TC Spect per verificare che i macroaggregati si siano concentrati esclusivamente nell’area tumorale, senza fughe verso altri organi, dove potrebbero determinare gravi complicanze. Successivamente in fisica sanitaria si procede a calcolare, in base al volume del tumore, la quantità di particelle radio-embolizzanti che occorrono, in modo da colpire le cellule cancerose con la dose giusta, limitando l’esposizione degli organi sani.