E’ fallito il trial clinico del solanezumab nel trattamento dei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer. La molecola, che rappresentava una speranza di cura per ciò che riguardava i sintomi della malattia, si è rivelato inconcludente, non riuscendo a raggiungere l’endpoint fissato.
Il medicinale infatti doveva dimostrare di essere in grado, come accaduto nelle prime fasi di studio, di rallentare i sintomi tipici delle prime fasi della patologia d’Alzheimer: il solanezumab era stato messo a punto per attaccar le placche di proteina beta amiloide la cui presenza è associata alla rovina delle sinapsi ed alla morte dei neuroni tipica della malattia.
Nel 2012 questo farmaco sembrava aver dato buone speranze sui pazienti affetti da Alzheimer lieve nel 2012. Lo studio sperimentale di fase III condotto su 2000 pazienti dal nome “Expedition3” ha purtroppo fatto registrare cambiamenti non sufficienti nella sintomatologia. Nessuna riduzione del deterioramento cognitivo è stata registrata in coloro che hanno assunto il solanezumab rispetto a coloro che hanno preso un placebo. Questi risultati hanno riacceso la discussione sulla validità del target scelto per combattere l’Alzheimer: secondo parte degli esperti infatti non si possederebbero abbastanza prove certe per collegare l’accumulo delle placche beta amiloidi al deterioramento cognitivo.
Altri, come la professoressa di Neuroanatomia all’Università di Southampton Roxana O’Carare che ne hanno parlato alla BBC, pensano che sia il modo di agire della molecola a non essere sufficienti. Spiega infatti:
Quando un vaccino come il solanezumab viene somministrato, le placche amiloidi nel cervello si rompono, ma le scorie e il fluido in eccesso non riescono a drenare attraverso un sistema di vasi già danneggiati. Il cervello non ha gli stessi vasi linfatici degli altri organi. Fluidi e spazzatura sono eliminati attraverso vie molto sottili incorporate nelle pareti dei vasi sanguigni. “Strade” che funzionano meno bene con il passare degli anni e dei fattori di rischio dell’Alzheimer.
Vi è anche l’ipotesi presa in considerazione che l’anticorpo all’interno del farmaco non riesca a raggiungere il cervello nelle quantità necessarie ad agire. Diverse altre molecole sono ancora in fase di test contro l’Alzheimer: non bisogna perdere la speranza. Anche se è necessario ricordare che il solanezumab non è la prima molecola a fallire in tal senso.
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Fonte | NYT
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