Nuovi passi in avanti contro l’Alzheimer grazie a un nuovo farmaco in fase avanzata di sperimentazione. Come? Combattendo il declino cognitivo.
Nuova arma contro l’Alzheimer?
Questa nuova sostanza sembrerebbe essere in grado di rendere più lento il declino cognitivo tipico della patologia. Facendo in modo tale che i pazienti possano svolgere le azioni tipiche della loro quotidianità, avendo a disposizione più tempo. Nello specifico questo medicinale è un anticorpo monoclonale chiamato donanemab e messo a punto dalla Eli Lilly. È importante sottolineare che non si parla di una cura ma di qualcosa in grado di rallentare la progressione della malattia.
Tra l’altro in questo momento accompagnato purtroppo da effetti collaterali considerabili potenzialmente gravi. Nonostante ciò va detto che, se i risultati annunciati all’interno del comunicato stampa dedicato dovessero venire confermati anche da studi scientifici in peer review, si avrebbe un’ulteriore possibilità di combattere contro i sintomi dell’Alzheimer. Una malattia, la forma più comune di demenza, che affligge in Italia la vita di 600.000 persone. Senza contare i loro caregiver.
Il donanemab è un anticorpo monoclonale simile al lecanemab, attualmente in fase di approvazione da parte della FDA americana. Entrambi i farmaci prendono di mira le placche beta-amiloidi, ovvero i depositi proteici extracellulari che sembra causino danni e poi la morte dei neuroni.
Il medicinale si lega alle suddette ed è un ottimo supporto per la loro eliminazione, almeno stando ai trial. Le sperimentazioni hanno mostrato, su 1700 pazienti con i primi sintomi della patologia, un rallentamento del declino funzionale e cognitivo della persona del 35% rispetto al placebo.
Ecco i risultati della sperimentazione
All’interno di un articolo pubblicato su Science è stato spiegato come il rallentamento della malattia d’Alzheimer sia stato riscontrato in due valutazioni differenti. Le quali che hanno monitorato l’andamento della cognizione e delle funzioni fisiche delle persone nell’arco di 18 mesi.
Parliamo di un farmaco che si somministra per infusione. E le valutazioni si sono occupate prima di tutto di comprendere se il farmaco interferisse sull’abilità di autonomia dei pazienti. In questo caso è stato valutato che il declino cognitivo sia stato ridotto del 35% rispetto al placebo. Secondo l’altra, basata sulle valutazioni cliniche e sui caregiver la percentuale è stata del 36%.
Secondo la casa farmaceutica che ha messo a punto l’anticorpo monoclonale il 47% dei pazienti ha sperimentato uno stabilizzarsi della gravità dei sintomi. Sulla base di questi dati il farmaco sembrerebbe più valido di quello in valutazione negli Stati Uniti. Anche se è impossibile eseguire una verifica seria in base alla diversità di dati in possesso.
Il problema del nuovo medicinale al momento risiede negli effetti collaterali dato che il 24% dei pazienti che lo ha sperimentato ha subito un edema cerebrale, mentre il 6% sintomi come svenimenti, confusione e mal di testa. Va detto che edema e micro-emorragie come quelle riscontrate nel 31,4% del gruppo sono comunque sintomi della malattia. Ma non possono essere non tenuti in considerazione.