Chi soffre di apnee notturne, un disturbo respiratorio del sonno che comporta la sospensione della respirazione a fasi alterne durante la notte, sembra essere più soggetto a incidenti cardiovascolari. Il rischio, inoltre, sarebbe maggiore negli anziani. A sostenerlo, è uno studio condotto dai ricercatori spagnoli della Università La Fe in collaborazione con l’Ospedale Politecnico di Valencia, pubblicato sull’American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine.
L’apnea notturna o più correttamente l’apnea ostruttiva del sonno (OSA) è una malattia spesso sottovalutata, sebbene sia la seconda più importante patologia respiratoria dopo l’asma. Si riscontra con maggiore frequenza nei soggetti obesi, con ipertensione e diabete, e comporta un aumento del rischio cardiovascolare (ictus, insufficienza cardiaca, aritmie cardiache), nonché la morte.
Tuttavia, sembra esserci una speranza. Gli esperti, infatti, hanno individuato un modo per risolvere questo disturbo del sonno in un intervento (chiamato CPAP), che esercita una pressione continua delle vie aeree facilitando così il processo respiratorio, riducendo i rischi correlati.
Lo studio ha coinvolto 65 pazienti anziani per 69 mesi, che sono stati monitorati per mezzo di polisonnografia standard o poligrafia respiratoria. L’esito della ricerca ha dimostrato come nei soggetti trattati con il CPAP si fosse ridotto effettivamente il rischio cardiovascolare, e di conseguenza anche quello di mortalità.
Il CPAP, un apparecchio che insuffla nel naso aria a pressione positiva e continua, consentendo così di mantenere libere le vie aeree superiori vincendo la resistenza all’origine degli episodi di apnea, si è già dimostrato efficace, nel corso di precedenti studi, nel ridurre sensibilmente la sonnolenza diurna, con il conseguente miglioramento della qualità della vita.
Lo studio spagnolo, il primo condotto su soggetti anziani, è senza dubbio interessante, tuttavia meriterebbe ulteriori approfondimenti per essere confermato, anche perché il campione preso in esame, nonostante sia stato seguito per lungo tempo è comunque troppo esiguo perché l’esito sia significativo.
Via|American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine; Photo Credits|ThinkStock