La depressione? Ne esistono almeno sei tipologie a quanto pare. Tutte manifestazioni che differiscono per sintomi e diverse necessità di approccio e conseguente risposta alla terapia.
Studio più approfondito dei tipi di depressione
Si tratta di uno studio coordinato da Leanne Williams del Dipartimento di Psichiatria e Scienze Comportamentali della Stanford University School of Medicine, frutto di una collaborazione di stampo internazionale.
Lo scopo di questa ricerca è quello di trovare i trattamenti più adatti contro la depressione in base ai sintomi e alla tipologia.
Dobbiamo ricordare che la depressione è un disturbo dell’umore molto comune e spesso grave. Nelle persone generalmente provoca la perdita di interesse per attività ed elementi piacevoli dell’esistenza. Può essere fautrice di problemi di memoria, avere una influenza negativa sulle abitudini alimentari nonché sul sonno e sul benessere generale.
E’ una malattia che può avere un forte impatto sulla qualità e sullo stile di vita. Sono stati i diversi sintomi legati a differenti persone a far scattare negli scienziati la necessità di cercare maggiori risposte. Possiamo quindi dire che esistono 6 tipi differenti di questo disturbo riconducibili tutti alla definizione unica di depressione maggiore o disturbo depressivo maggiore.
Ecco i principali biotipi scoperti
Dovremmo quindi parlare, con maggiore precisione, di “sei diversi biotipi distinti di disturbo depressivo maggiore” ai quali sono collegate diversi approcci terapeutici. Per giungere alle loro conclusioni gli studiosi hanno analizzato le scansioni cerebrali di 801 persone con depressione e disturbi d’ansia e quelle di 137 soggetti sani. Questi i biotipi di depressione riscontrati:
- Default con salienza e iperconnettività attentiva;
- ipoconnettività dell’attenzione;
- affetto negativo suscitato da tristezza con iperattivazione dell’affetto positivo;
- iperattivazione del controllo cognitivo;
- ipoattivazione del controllo cognitivo con ipoconnettività affettiva negativa suscitata da minaccia cosciente; attivazione e connettività intatte.
Studiando la casistica è stato quindi possibili comprendere che la depressione caratterizzata da iperattività nelle regioni cognitive del cervello risponde maggiormente alla venlafaxina. Mentre la terapia della parola era più adatta a chi aveva maggiore attività nelle regioni associate alla depressione e al problem solving.
Mentre questa era poco risolutiva in coloro che presentavano meno attività nelle zone legate all’attenzione. I pazienti che presentavano iperattività erano spesso incapaci di provare piacere (anedonia).
Ovviamente saranno necessarie ulteriori conferme per poter presentare come priva di criticità questa classificazione. Ciò non toglie che si tratta del primo studio che si occupa di studiare i biotipi della depressione in maniera approfondita. Riuscendo in questo modo anche a fornire maggiori indicazioni sulle potenziali terapie da applicare per poter aiutare i pazienti a stare bene.