La medicina di genere è sempre più necessaria. E la ragione sta nel fatto che non di rado l’approccio alla salute non tiene conto delle dovute differenze.
Perché è importante la medicina di genere
Quando si parla di medicina di genere si auspica un approccio differente alla medicina e alla sperimentazione che tenga conto, effettivamente, di quelle che possono essere le conseguenze di alcune procedure a seconda del genere di appartenenza.
È di storica rilevanza un articolo che nel 1991 dimostrò come, soprattutto per quel che riguarda il dolore, donne e uomini vengono trattati diversamente. La cardiologa americana Bernardine Heal infatti denunciò sul New England Jorunal of Medicine, come nel suo reparto specialistico si tendesse a ricoverare meno le donne. Con conseguenti meno operazioni e meno test diagnostici.
Un approccio questo non di rado riscontrabile anche in altre branche mediche. Una situazione che l’Organizzazione mondiale della Sanità tentò di correggere nel 2000. Come? Istituendo la Medicina genere-specifica (MDG).
Un passo necessario per verificare quali fossero realmente le conseguenze delle differenze biologiche sulle varie terapie. E sulle diagnosi. Un po’ come accade con le persone in sovrappeso od obese che non di rado trovano problemi nell’essere prese sul serio su alcuni malanni.
Tecnicamente parlando, l’Oms parlò di differenze biologiche, definite dal sesso di appartenenza e socio-economiche, definite dal genere.
Cosa accade durante la sperimentazione dei farmaci
Anche in Italia sono stati fatti passi avanti di questo genere. È stato infatti istituito l’Osservatorio per la medicina di genere. Ma nonostante il passare degli anni e del tempo, un po’ dovunque la sperimentazione clinica è rimasta “ferma” in tal senso. Il campione preferibile è sempre il maschio, tra i 30 e i 35 anni e preferibilmente caucasico. E in questo caso non è solo un problema di medicina di genere: vengono proprio lasciate fuori fasce di età ed etnie differenti.
L’Istituto superiore di Sanità ha fatto sapere nel 2023 che solo il 20% delle donne arriva a essere coinvolto nella fase II della sperimentazione dei farmaci. È tempo, come suggerito anche dalle ultime linee di indirizzo per l’applicazione della medicina di genere, che le donne vengano maggiormente incluse e rappresentate.
In modo tale da poter fornire loro i giusti trattamenti e anche le dosi giuste dei farmaci di cui hanno bisogno. A rappresentare un problema per gli studi sarebbe il loro ciclo ormonale. Forse è arrivato il momento di fare di una variabile potenzialmente problematica un elemento da tenere in considerazione.
In modo tale da poter offrire una medicina efficace che sappia prendersi cura della persona a prescindere dal genere di appartenenza.