Le cellule di grasso potrebbero essere utilizzate per bruciare le calorie se opportunamente sollecitate da una proteina. Lo sostengono i ricercatori dell’università della California, secondo i quali il protide “PRDM16” potrebbe funzionare come interruttore “brucia grassi”. La scoperta è stata resa nota attraverso uno studio pubblicato sulla rivista di settore Cell Metabolism e se confermata potrebbe essere usata come strumento contro l’obesità.
Lo studio è stato finora condotto a livello animale ma le sue applicazioni, grazie alla presenza del protide anche nell’uomo, hanno già gettato le basi per un possibile futuro impiego umano. PRDM16 è in grado di attivare un meccanismo nelle cellule adipose in grado di cambiare l’approccio alle calorie nell’organismo, passando da una modus di “conservazione” ad uno di “bruciamento” delle stesse.
Va da sé che un suo possibile utilizzo porterebbe alla fine dei normali trattamenti farmacologici relativi all’obesità, riscontrabili attualmente nelle pillole “smorza fame” e in quelle adibite al blocco dell’assorbimento dei grassi. Basterebbe infatti assumere la proteina per far cambiare il comportamento delle cellule adipose. Entrando nello specifico si tratta di agire sul tessuto adiposo bruno, presente in maggiore quantità nella vita neonatale dell’essere umano facendone aumentare la quantità farmacologicamente nella vita adulta convertendo il tessuto adiposo bianco (quello che l’organismo tende ad accumulare, n.d.r.) in bruno e quindi più facile ad essere bruciato.
Il coordinatore dello studio Shingo Kajimura e la sua squadra di scienziati hanno mostrato come il PPAR-gamma, sostanza presente nei farmaci anti-diabete, possa interagire con la proteina PRDM16 rendendola più “propensa ad accumulare le cellule ‘brune”. Sull’uomo però lo studio è ancora agli inizi. Bisogna infatti avere la certezza che questa trasformazione sia possibile e che gli effetti siano parimenti stabili e funzionali.
Il corpo umano è in grado di creare del tessuto grasso “bruno” per tutta la vita, anche se in quantità molto limitate. Ciò che i ricercatori puntano a scoprire è fino a quale punto il nostro organismo sia in grado di muoversi in tal senso.
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Fonte: Cell Metabolism