La riforma sanitaria potrebbe stagliarsi all’orizzonte nelle prossime settimane. E, non a caso, il nuovo premier Mario Draghi ha parlato in misura piuttosto chiara della necessità di aprire un confronto a tutto campo su tale riforma, rafforzando e ridisegnando la sanità territoriale. Ma in che modo?
La riforma sanitaria post-Covid, per voce dello stesso Presidente del Consiglio, potrebbe ruotare intorno al concetto di “casa”, elevando la propria abitazione a principale luogo di cura: una utopia fino a qualche anno fa, ma oggi una evoluzione possibile grazie alla telemedicina e all’assistenza domiciliare integrata.
Peraltro, il nostro sistema sanitario nazionale ha già dovuto fare i conti con una frammentazione di strutture non certo marginale. Si pensi a quella rete citata dallo stesso Draghi in Senato, e composta da studi medici, centri di salute mentale, consultori e così via. Una rete che dovrebbe essere rafforzata e potenziata, permettendo così di gestire i primi livelli di assistenza in questo modo, e relegare agli ospedali il solo ruolo di curare le esigenze sanitarie acute, post acute, riabilitative.
Insomma, il futuro della sanità dovrebbe essere prevalentemente incentrato sulla necessità di assicurare delle cure a casa, con la telemedicina e non solo. E mai come in questo momento c’è la concreta possibilità di ipotizzare una simile rivoluzione, visto e considerato che nel Recovery plan la quota destinata alla sanità è già di 18 miliardi di euro, e non è affatto escluso che possa incrementare ulteriormente.
Ma come saranno impiegati questi fondi? L’ultima versione del Recovery plan destina metà del budget della sanità al territorio e alle case di cura: entro il 2026 dovrebbero dunque essere realizzate almeno 2.500 “case della comunità” (una ogni 25.000 abitanti), con l’obiettivo di assistere, in questi nuovi spazi, 8 milioni di pazienti cronici monopatologici e 5 milioni di pazienti con più patologie.
Un’altra fetta rilevante degli investimenti è poi legata all’assistenza domiciliare integrata, con la presa in carica di almeno mezzo milione di nuovi pazienti. Attraverso la telemedicina, entro il 2026, si dovrebbe invece cercare di assistere almeno 280 mila pazienti. Altri 2 miliardi di euro sono destinati alle cure intermedie, con gli ospedali di comunità per assistere i pazienti che non possono stare a casa, ma per i quali il ricovero non è indicato.