Con l’allungarsi dell’aspettativa di vita, è andato via via anche aumentando il numero degli anziani colpiti da patologie come il morbo di Alzheimer e le demenze senili. Sebbene l’incidenza sia in aumento, al momento la situazione appare ancora sotto controllo.
Le statistiche parlano chiaro: nel 2050 saranno almeno 2 milioni gli italiani colpiti da questa tipologia di malattie. Una speranza di contrasto c’è: bisogna continuare a dedicarsi ad un’attività costante nel tempo. Come quella, per esempio di coltivare un orto o un giardino.
Molti studi lo hanno confermato: questa tipologia di attività non deve essere necessariamente intellettuale. L’importante è che la persona invecchiando mantenga costantemente la sua psiche sveglia ed attiva attraverso mansioni di diverso tipo, continuative nel tempo, in grado di stimolarlo e far sì che l’attività cerebrale sia sempre “stuzzicata” adeguatamente. Va sottolineato però che quando si parla di attività di tipo non intellettuale è sempre meglio dedicarsi a qualcosa che porti al mantenimento di relazioni sociali. Questo serve fare in modo che la persona non perda l’interazione con il proprio simile e la conseguente messa in atto di processi intellettuali.
L’ultima conferma in ordine di tempo arriva dalla ricerca pubblicata sugli Annals of Internal Medicine da alcuni ricercatori del Karolinska Institutet coordinati dalla svedese di origine italiana Laura Fratiglioni. Il suo studio ha dimostrato che, a prescindere dall’attività svolta da soggetti presi in considerazione dallo stesso, la malattia veniva ritardata non solo contrastando un eventuale predisposizione genetica attraverso terapie farmacologiche e combattendo le patologie considerate come “fattori modificabili” (parliamo di abuso di alcol e fumo, diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari, n.d.r.), ma soprattutto mantenendo la gestione di un’attività qualsiasi.
Spiega la dottoressa:
Il cervello, come gli altri organi ha bisogno di stimoli e di esercizio per continuare a funzionare: gli anziani con una vita attiva, non solo dal punto di vista intellettuale, ma anche fisico e sociale, hanno un minor rischio di demenza, a prescindere dall’attività che continuano a svolgere e questo è il principale messaggio di questo studio.
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Fonte: Corriere della Sera