Ictus, esiste il trattamento d’emergenza perfetto? E’ sempre utile un trattamento antitrombotico? L’ictus è una delle patologie per le quali un intervento tempestivo fa la differenza tra la vita e la morte. Ma che succede se il trattamento di elezione si rivela pericoloso? Tutte domande che gli esperti si stanno ponendo.
E’ assodato, se un trombo (un coagulo di sangue, N.d.R.) causa l’ictus in una persona, agire con un farmaco antitrombotico è la prima cosa da fare. Ma non sempre, è stato verificato, questo trattamento si è rivelato utile e non pericoloso per il paziente. Sarebbe infatti necessario conoscere adeguatamente le patologie pregresse di una persona al fine di non causare più danno alla stessa di quanti ne abbia fatti l’ictus, prima di somministrare il suddetto farmaco.
Quando questa malattia colpisce, la prima cosa da fare è ovviamente quella di ripristinare il corretto flusso sanguigno al cervello, limitando i danni. Ed in questo concetto rientra anche l’evitare di aggravare un’eventuale emorragia celebrale o sanguinamenti in altre parti del corpo causate dall’unione del farmaco con una problematica pregressa. In questi casi il rapporto rischio-beneficio non consente un utilizzo sempre valido dello stesso.
A puntare i riflettori sul problema ci ha pensato uno studio condotto dall’Università di Edimburgo pubblicato sulla rivista di settore Lancet Neurology che mostra come il rischio di emorragia aumenta in modo sensibile con l’assunzione del farmaco antitrombotico nei pazienti con danni tissutali molteplici al cervello. Questi possono essere facilmente riscontrabili con una TAC. Tutto ciò sta portando gli esperti cercare di comprendere quali possono essere i tempi limite di somministrazione del farmaco per ovviare al problema sopra descritto.
Lo studio condotto ad Edimburgo ha effettivamente aperto una finestra di riflessione per gli specialisti della materia, i quali non avevamo mai effettivamente analizzato le possibilità relative alle diverse eventualità che potevano presentarsi in caso di danno ai tessuti cerebrali. Aggiustamenti ai protocolli in uso sono al momento al vaglio.
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