Chi è affetto da Parkinson non sarebbe in grado di mentire: è questo che ci indica uno studio condotto dai ricercatori dell’università giapponese di Tohoku pubblicato sulla rivista di settore Brain. E non si tratta di una ipotesi semplicistica: gli scienziati sono stati infatti in grado di fornire la prima prova “neurobiologica” di tale assunto, andando a convalidare ricerche pregresse, basate su osservazioni di tipo psicologico sulle persone malate di questa patologia.
Si tratta di uno studio molto particolare quello svoltosi in Giappone, specialmente per le premesse che lo hanno accompagnato, basate sul lavoro del neurologo dei primi de ventesimo secolo Carl Camp, che si adoperava nel raccontare le persone affette da Parkinson come dei veri e propri “stakanovisti” a livello psicologico, in grado di portarsi “la serietà” anche a letto e che e di non lasciarsi andare a vizi come alcol, fumo o caffè.
Molte delle ricerche effettuate in passato si sono basate sulle osservazioni del dott. Camp, soprattutto quelle che correlano il fumo della sigaretta. Sebbene molte di queste abbiano tentato di dimostrare semplicemente il rapporto negativo tra il morbo di Parkinson, si è solo giunti a capire che la leggenda metropolitana che vuole la sigaretta come antagonista della malattia è semplicemente una diceria dettata dalla personalità dei pazienti. E che quindi la personalità dell’indiviuduo non è legata ad una possibile maggiore incidenza della patologia.
Si tratta di una premessa doverosa da fare perché lo studio giapponese che a breve illustreremo sull’incapacità dei malati di parkinson di mentire deve essere letta sotto l’ottica di uno studio a corrispondenza diretta e quindi preciso, a differenza degli altri condotti con valore retrospettivo. I malati di parkinson non possono mentire. E lo si è appurato attraverso un esame diagnostico come la pet. I dottori hanno infatti potuto scoprire che la malattia è in grado di privare la corteccia prefrontale di queste persone delle normali funzioni esecutive nelle quali risiedono i fattori che rendono possibile mentire.
La loro “onestà” quindi deriverebbe dallo scorretto funzionamento di questa particolare area del cervello: si tratta di una prova incontrovertibile atta ad essere utilizzata anche in altri campi di applicazione, al di fuori della patologia parkinsoniana. L’esperimento in questo caso consisteva nel far dare ai pazienti delle risposte vere o “volutamente” false. Coloro affetti da parkinson presentavano maggiori difficoltà nel processo del mentire.
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Fonte: Brain