Home » MEDICINA DELLA MENTE » Psicologia » Esiste la depressione da prova costume?

Esiste la depressione da prova costume?

Con l’arrivo dell’estate si ripresenta il dilemma prova costume, vissuto con un sorriso da alcune e con estrema ansia da altre. La scelta del bikini nuovo, infatti, spinge a fare i conti con la propria silhouette non sempre perfetta, con il rischio di mandare in depressione le donne che tendono ad amplificare il processo di auto-oggettivazione. A sostenerlo, è un’indagine condotta dalla psicologa Marika Tiggemann della Flinders University in Australia, e pubblicata sulla rivista Sex Roles.

Come ha spiegato la dottoressa, infatti,  l’auto-oggettivazione implica un senso di estraniamento tale che la donna/ragazza comincia a considerare il proprio corpo al pari di un oggetto. Questa visione distorta della realtà è la scintilla che fa scattare un’autocritica feroce verso se stesse, tanto da diventare fonte di depressione.

L’auto-oggettivazione porta ad essere sempre preoccupate del proprio aspetto, a provare vergogna del proprio corpo, ed è spesso l’anticamera dei disturbi del comportamento alimentare, ma anche della depressione. Le reazioni, chiaramente, sono diverse da donna a donna, e questo processo può avere modalità diverse, ci sono poi circostanze che possono persino esasperare questi sentimenti, tra cui la scelta di un vestito da indossare.

La scelta di indagare quest’aspetto, infatti, non è casuale, come fa notare la Tiggermann, i vestiti sono forme del nostro aspetto su cui è possibile esercitare un controllo, cosa che non possiamo fare invece quando si tratta della forma del corpo e delle sue dimensioni.

Per testare l’impatto dell’abbigliamento sull’auto-oggettivazione la psicologa e colleghi hanno condotto 4 esperimenti. Nel primo, è stato chiesto alle partecipanti (102 giovani donne) di immaginare se stesse mentre provavano un costume da bagno in un camerino, nel secondo camminando sulla spiaggia, e negli ultimi due, sempre in uno spogliatoio e su una spiaggia ma con indosso un maglione e un paio di jeans.

I risultati hanno dimostrato che le donne erano meno a disagio con il proprio corpo quando erano vestite, piuttosto che quando erano in costume da bagno. Come ha osservato la Tiggermann:

La presenza fisica di osservatori non è chiaramente necessaria. Più in particolare, il camerino di un negozio di abbigliamento contiene una serie di caratteristiche potenzialmente oggettivanti: (spesso diversi) specchi, l’illuminazione brillante, e la domanda virtuale che impegna le donne in un’attenta valutazione del proprio corpo per valutare come i vestiti stanno indosso e quale sia l’effetto sul fisico.

Secondo la psicologa, il modo migliore per desistere alla tentazione di auto-oggettivarsi è non specchiarsi troppo, e concentrarsi su attività che danno poca importanza all’aspetto fisico, come lo yoga o le discipline orientali.

Photo Credits|ThinkStock