Se una donna decidesse di mettersi in bikini per far colpo su un uomo, forse è meglio che cambi tattica. Una recente ricerca della Princeton University ha dimostrato come una donna nel costume in due pezzi è percepita da un uomo soltanto come un oggetto.
Lo studio, portato avanti dalla psicologa Susan Fiske, è stato confermato dall’American Association for the Advancement of Science, ed è partito da un esperimento effettuato su un campione di 21 ragazzi eterosessuali a cui venivano mostrate delle foto con donne in bikini, alcune senza testa. Al contempo il team della psicologa monitorava le attività cerebrali dei ragazzi.
In primo luogo si notava, attraverso i macchinari, che mentre loro guardavano le foto delle donne mezze nude, la corteccia prefrontale, quella responsabile dei sentimenti e delle azioni altrui, veniva poco stimolata, mentre ad essere molto attiva era l’area dedicata agli oggetti e alla manipolazione. In pratica gli uomini, guardando le foto, osservavano delle cose e non delle persone. In una seconda parte dello studio la psicologa poneva delle domande ai ragazzi su cosa avevano visto, e si è resa conto che essi ricordavano benissimo i corpi nelle foto senza testa, piuttosto che quelli in cui si vedeva anche il volto della donna. Ciò significa che certi atteggiamente deumanizzano il corpo femminile, relegandolo ad una classe inferiore di “oggetto”.
La responsabilità, secondo Fiske, è prima di tutto culturale. Una struttura familiare patriarcale, una società che fino a poco tempo fa relegava ai margini le donne, e soprattutto la pubblicità, quella cosa che accompagna le nostre vite ormai quotidianamente, che tratta le donne “a pezzi” (cellulite, occhi, seno, ecc.) e mai nel suo complesso. Tutti fattori che messi insieme fanno associare la donna, soprattutto quando mette in mostra il suo corpo, ad un essere non umano. Conclude la sua relazione la dottoressa Fiske che ciò è dovuto alla dimostrazione che, se messe in condizioni di parità, le donne fanno tutto meglio degli uomini. Per questo la società cerca di declassarle, per paura, e renderle psicologicamente inferiori all’uomo.
[Fonte: vitadidonna]