Sapete che perdonare comporta un vero e proprio lavoro di comunicazione tra diverse parti del cervello? I ricercatori dell’Università di Pisa, coordinati dal professor Pietro Pietrini ce l’hanno dimostrato attraverso uno studio dedicato pubblicato sulla rivista di settore Human Neuroscience.
Gli stati emotivi positivi messi in moto dall’atto del perdonare mette in contatto la corteccia prefrontale dorsolaterale, la corteccia del cingolo, il precuneo e la corteccia parietale inferiore. Per mostrare questi collegamenti gli scienziati si sono avvalsi della risonanza magnetica funzionale (fMRI) per misurare l’attività cerebrale nelle diverse regioni dell’encefalo. Come campione di studio è stato preso un gruppo di persone chiamati ad immaginare degli eventi sociali dolorosi come un tradimento o un umiliazione e poi rispondere o perdonando la persona che aveva causato il malessere o immaginando di vendicarsi sulla stessa.
Alla fine di ogni esperimento “mentale” i volontari erano chiamati a dare un punteggio alle proprie capacità, sia nell’immaginare le situazioni sia per ciò che concerneva il sollievo derivante dal perdono espresso. I ricercatori dell’ateneo pisano si sono resi conto che la corteccia prefrontale dorsolaterale è coinvolta nella modulazione dei vissuti emotivi. Essenzialmente il lavoro di questa area del cervello, secondo gli scienziati suggerisce che il modo nel quale viviamo gli eventi negativi e riusciamo a perdonare in successione dipenda strettamente da come il nostro cervello lavora in quelle aree. In collaborazione, ovviamente con la corteccia parietale inferiore, una regione associata all’empatia. Commenta il prof. Pietro Pietrini:
Nel corso della storia il perdono è stato invocato dalla religione e da leader politici come la risposta moralmente corretta nei confronti di un’offesa. Il nostro studio ora indica che il perdono affonda le proprie radici nel cervello e che si configura come un processo cognitivo articolato che può consentire all’individuo di superare stati emotivi negativi tramite la rivalutazione in termini positivi di un evento negativo.
Voi che ne pensate?
Fonte | Human Neuroscience
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