Un anticoncezionale maschile ad ultrasuoni? Sembra pura fantascienza, ma non solo esiste (in via sperimentale) ma sembra essere la forma ideale di contraccezione maschile. Bisogna continuamente fare attenzione a possibili contagi per ciò che riguarda le malattie sessualmente trasmissibili e quindi utilizzare il preservativo, ma in quanto fertilità, sembrerebbe si sia raggiunto il risultato più soddisfacente.
Bombardare le parti intime con gli ultrasuoni, questa è la soluzione. Almeno stando allo studio condotta dall’università della North Carolina, pubblicato sulla rivista Reproductive Biology and Endocrinology. Esso ha dimostrato come le onde sonore ad alta frequenza possano “possono ridurre in modo efficace il numero degli spermatozoi” nelle cavie di laboratorio.
Si tratta di un effetto transitorio e quindi pienamente reversibile. Spiega il dott. James Tsuruta, il coordinatore della ricerca:
L’unica differenza con gli esseri umani è che i topi rimangono fertili anche con una conta spermatica molto bassa. Il nostro trattamento non invasivo a ultrasuoni riduce le riserve di sperma nei topolini molto al di sotto dei livelli in cui gli uomini sono normalmente fertili.
Alcuni particolari di questo processo sono ancora da verificare, ma al livello di sperimentazione attuale, l’impressione che se ne ricava è quella di essere finalmente giunti alla messa a punto di un contraccettivo non costoso, affidabile, ad azione prolungata, reversibile e con pochi effetti collaterali.
Già in passato ci si era rivolti ad un approccio simile. La medicina, circa 40 anni fa, si era orientata in tal senso, utilizzando dei macchinari ora ampiamente superati in caso di cancro alla prostata. Gli uomini che vi si erano sottoposti avevamo parlato di un “piacevole calore” non fastidioso nelle parti intime. Ma la sperimentazione si era poi arenata.
Lo studio attuale ha dimostrato che, nei topi, bastano 3 megahertz di ultrasuoni ad alta frequenza applicati ai testicoli dei topolini per “eliminare le cellule germinali che producono lo sperma. Prima di poter pensare di applicare la tecnica agli esseri umani, sottolineano i ricercatori, saranno necessari ulteriori test.
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Fonte: Reproductive Biology and Endocrinology