La gotta è una malattia metabolica molto particolare che caratterizzata essenzialmente da un accumulo di acido urico nell’organismo, manifestanti con particolarità nelle vicinanze delle articolazioni dove formano cristalli aghiformi di urato monosodico, che tendono a innescare un infezione ed a formare granulomi. Si tratta di una malattia in passato associata alla nobiltà ed ai vizi in cui eccedeva. Ripercorriamone la storia andando indietro nel tempo.
Era conosciuta come la malattia dei nobili, dei re e dei papi. Si tratta di una patologia che già Ippocrate connotò decine di secoli, descrivendo con minuzia di particolari come attaccasse prevalentemente gli uomini e le donne dopo la menopausa. Curiosamente la patologia veniva collegata strettamente non solo ad un comportamento poco parco a tavola, ma anche all’incapacità di trattenersi da un “sfrenata attività sessuale”.
Lo dimostra anche l’iconografia che solitamente veniva fatta della persona affetta da gotta: uomo, in sovrappeso, caricaturato con oggetti che ne sottolineassero il carattere decisamente licenzioso.Come sottolinea Carlo Maurizio Montecucco, responsabile della Divisione di reumatologia al Policlinico San Matteo di Pavia:
In passato ciò era vicino al vero: la gotta infatti è associata a una dieta ricca di carni, insaccati, formaggi, dolci, ovvero a un’alimentazione che nei secoli passati e fino al secondo dopoguerra era appannaggio dei ricchi. Però conta anche la predisposizione genetica: ecco perché i casi di gotta si concentravano soprattutto in alcune nobili famiglie.
Gli antichi romani curavano la patologia attraverso gli estratti di colchico, dai forti effetti lassativi. Una sostanza che apportava effettivamente miglioramenti, dovuti però alla presenza della colchicina, ottima nel tenere sotto controllo gli effetti di una uricemia alta. Il fatto che venisse collegata ad una sfrenata attività sessuale creò non pochi imbarazzi ai papi nel corso del Rinascimento.
Per assurdo fu solo con l’arrivo del 1600 e l’avvento del filosofo John Locke che consigliava una riduzione del consumo di carne, che si arrivò a comprendere come un fattore di rischio di questa malattia fosse una dieta con troppa presenta di proteine e lipidi.
Una cura efficace per la malattia? Arrivò nel dopoguerra con l’allopurinolo, in grado di diminuire la produzione di acido urico.
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Fonte: Corriere della Sera