Il morbo di Alzheimer è una delle malattie più misteriose che stanno entrando prepotentemente nella nostra vita quotidiana. I casi di persone che si ammalano aumentano a vista d’occhio, ma come quasi tutte le malattie che colpiscono il cervello, è di difficile individuazione, rimangono misteriose le cause e resta ancora una chimera la terapia.
Un passo in avanti è però stato effettuato oggi da Susan Landau, ricercatrice dell’Università californiana di Berkley, la quale ha individuato due metodi diagnostici che possono chiarire con una certezza che rasenta il 100% se una persona è affetta dal morbo oppure no. La sua ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Neurology.
I due metodi diagnostici si chiamano Tomografia ad emissione di positroni, meglio conosciuta come Pet, ed il test della memoria episodica. Secondo la dottoressa Landau, se i valori riscontrati in entrambe le diagnosi sono positivi, il paziente ha 12 volte in più, rispetto ad un paziente con valori negativi, la probabilità di essere affetto dal morbo di Alzheimer.
Il Pet è già utilizzato da anni in medicina per rilevare delle anomalie del cervello tramite la produzione di bioimmagini su un monitor, in pratica stilando una sorta di “mappa” del corpo che mostra con una sola occhiata la presenza di problemi neurologici o di altra natura. La Pet è oggi utilizzata nella maggior parte dei casi per rilevare alcune forme di cancro e per rilevare le demenze. Il test della memoria episodica invece è un tipico test usato nei casi di demenza negli anziani per valutare il grado di apprendimento di un ricordo, e la possibilità di mantenerlo nel tempo.
Questi due test sono stati dichiarati più affidabili dei tanti altri che vengono effettuati oggi come gli esami del sangue, per l’individuazione del gene Apoe, associato all’Alzheimer; la risonanza magnetica, utilizzata nella misurazione delle dimensioni dell’ippocampo, responsabile proprio della memoria; e gli esami per la misurazione della proteina beta-amiloide, una delle prime indiziate tra le responsabili dell’insorgenza della malattia. Questa nuova scoperta non risolverà il problema che attanaglia milioni di persone, ma avere dei test che lo possano riconoscere con certezza, e magari in futuro anche in fase precoce, potrebbe essere un punto a favore in questa battaglia.
[Fonte: Newsfood]