La frattura è una delle “ferite” più difficili da guarire dell’organismo. In buona parte perché riguarda le ossa, una parte del nostro corpo nascosta dai muscoli e dall’adipe che fisiologicamente in maniera più o meno sviluppata ci portiamo addosso. Il progresso sta man mano provando diversi nuovi approcci per la sua cura, tra i quali l’utilizzo di cellule staminali.
Nello specifico si parla di politerapia, ovvero da un approccio di tipo biotecnologico, soprattutto per quelle fratture che non guariscono da sole, pari al 15-20% del totale.
Questo nuovo metodo sta apportando risultati davvero soddisfacenti e consta nell’utilizzo di un “cocktail” di sostanze inserite tra i monconi dell’osso nel corso dell’intervento in sala operatoria. Parliamo di un mix di cellule staminali stromali (prelevate dal paziente, in linea di massima dal bacino dello stesso, n.d.r.), fattori di crescita creati in laboratorio e gli scaffold, dei supporti di sostegno, che insieme ai normali mezzi di osteosintesi già in utilizzo come placche, chiodi e fissatori esterni favoriscono la fusione ossea.
Va spiegato che quando un osso non guarisce fisiologicamente da solo può instaurarsi una complicazione conosciuta sotto il nome di pseudoartrosi. Nei casi più gravi i monconi di osso perdono vitalità e si riassorbono, facendo perdere all’arto coinvolto parecchi centimetri di lunghezza. Fino ad ora le tecniche utilizzate per prevenire tutto ciò si sono rivelate molto complesse e dolorose. Prendiamo ad esempio la più utilizzata, quella del trasporto osseo di Ilizarov: i tempi di guarigione sono molto lunghi e la scomodità per il paziente molto alta.
Con la politerapia, meno invasiva, è stata riscontrata una percentuale di successi pari al 90%. Ecco in cosa consiste nello specifico.
In sala operatoria viene asportata la pseudoartrosi, sistemando l’osso. A questo punto, su un supporto costituito da “materiali organici derivati dall’uomo o da animali”, o sintetici di “forma adatta a riempire la perdita ossea e posto fra i due monconi”, si applicano le cellule staminali stromali prelevate dal paziente in precedenza insieme ai fattori di crescita. I pazienti giungono quindi alla ripresa di un’attività normale in circa sei mesi ed alla guarigione completa in circa un anno e mezzo.
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Fonte: Corriere della Sera