Se la notizia della sua efficacia venisse confermata, sarebbe un gran passo avanti per ottenere delle diagnosi di autismo certe. Un team di ricercatori canadesi della Case Western Reserve University School of Medicine e dell’Università di Toronto sembra siano riusciti a mettere a punto un test per diagnosticare questo disturbo in maniera precisa.
Per l’esattezza in una percentuale di precisione pari al 94%, un livello di correttezza diagnostica mai raggiunto finora. Il metodo approcciato dagli scienziati si basa sull’utilizzo della magnetoencefalografia (MEG) che si occupa normalmente di misurare i campi magnetici generati dall’elettricità gestita dai nostri neuroni. Di solito questo esame viene utilizzato per registrare e studiare l’attività cerebrale per comprendere come il cervello comunica da una sua regione all’altra.
Utilizzando questo test per rilevare disturbi dello spettro autistico, i ricercatori hanno ottenuto una diagnosi esatta in quasi la totalità dei casi studiati. Commenta uno dei ricercatori, Roberto Fernandez Galan:
Ci siamo posti la domanda: “Si può distinguere un cervello di una persona affetta da autismo da un cervello non autistico semplicemente osservando gli schemi di attività neurale?” E, in effetti, è possibile. Questa scoperta apre la porta a strumenti quantitativi che completano gli strumenti di diagnostica esistenti per l’autismo, basati su test comportamentali.
In parole povere lo studio, che ha trovato spazio sulla rivista di settore Plos One nella sua versione online ha dato modo di mettere a disposizione un nuovo strumento, più preciso, da unire agli altri esami previsti dai protocolli medici per individuare il disturbo.
Gli scienziati hanno analizzato 19 bambini, di cui 9 affetti da autismo conclamato. Attraverso l’ausilio di 141 sensori, i ricercatori hanno monitorato l’attività della corteccia cerebrale di ogni volontario. Questi hanno registrato come le diverse regioni interagivano l’una con l’altra. Nei bambini affetti da disturbi dello spettro autistico, le connessioni tra le arie posteriori e frontali del cervello erano maggiori rispetto a quelle dei bambini appartenenti al gruppo di controllo. In questo modo potrebbe essere possibile identificare eventuali “anomalie” nel cervello di chi soffre di questo disturbo, riuscendo a diversificare le differenze di attività cerebrale e quindi rendendo più precise le diagnosi.
Fonte | Plos One
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