Nella vita di una cellula, la risposta al danneggiamento del Dna determina se la cellula stessa è destinata ad arrestare le sue funzioni, ad autoripararsi, all’autodistruzione o ad una crescita incontrollata, percorso quest’ultimo che porta a sviluppare forme tumorali.
Uno studio recente effettuato dagli scienziati del NYU Langone Medical Center e pubblicato dalla rivista scientifica Cell, ha identificato il modo in cui le cellule rispondono al danneggiamento del Dna attraverso un processo di smaltimento che coinvolge le proteine.
La ricerca trova una nuova spiegazione allo sviluppo del cancro e apre nuove speranze per una cura più efficace delle forme tumorali, sensibilizzando le cellule intaccate ai trattamenti. Secondo Michele Pagano, autore principale dello studio:
Una delle scoperte più rilevanti di questa ricerca è l’aver individuato un nuovo percorso di risposta al Dna danneggiato. Era già noto che le tre principali proteine coinvolte in questo meccanismo reattivo fossero fuori controllo nel caso di insorgenza tumorale. Ora sembra chiaro che l’intero processo di risanamento dei danni del Dna, se alterato, porta a sviluppare il cancro.
I danni al Dna possono essere causati da agenti cancerogeni nell’ambiente, da errori nella replicazione del Dna, o da imperfezioni nel meccanismo cellulare provocati dall’invecchiamento. Se una cellula individua l’errore al momento di duplicarsi, si attiva una sorta di pulsante di pausa (il cosiddetto G2 checkpoint) che consente alla cellula di riparare il danno prima di dividersi. L’arresto del meccanismo di duplicazione è basato su un percorso gestito da una serie di proteine, che lavorano insieme come ingranaggi di una macchina. Alcune sono accese, altre spente, per mantenere il controllo dello stato di pausa.
Il dottor Pagano suggerisce un nuovo modo di rendere più sensibili alla chemioterapia le cellule tumorali, sfruttando la scoperta di questo percorso. Le cellule cancerogene hanno già un checkpoint meno efficiente a causa di difetti di regolamentazione in altri percorsi. Il 60% dei tumori, ad esempio, hanno mutazioni nel p53, un gene soppressore del cancro e nel regolatore G2 checkpoint che opera in un percorso distinto.
Inibendo questo nuovo percorso con un farmaco si potrebbero rendere le cellule tumorali particolarmente vulnerabili ai danni del DNA, provocando la morte delle cellule cancerogene piuttosto che la pausa di arresto per correggere il problema. Le cellule sane, al contrario, non sarebbero altrettanto sensibili al principio farmacologico, perchè meno portate a dividersi e con un checkpoint più efficiente, cosicchè a morire sarebbero solo quelle tumorali.
Il responsabile principale del percorso individuato dai ricercatori è il complesso proteico denominato APC/C che è coinvolto in molti aspetti della regolazione cellulare attraverso un sistema di smaltimento dei rifiuti che riduce in brandelli le proteine. In risposta al danneggiamento del Dna, l’enzima Cdc14b viene convertito in APC/C che accende a sua volta Plk1. Se Plk1 rimane attivo, il processo di divisione cellulare continua.
Secondo lo studio, la deregolamentazione del percorso di questi tre componenti (Cdc14B, APC / C, e Plk1) nelle cellule tumorali è correlato a un più basso tasso di sopravvivenza nei pazienti. Ai ricercatori sarà necessario eseguire ulteriori studi per determinare in che modo queste proteine sono alterate nel cancro. Alcuni degli effetti potrebbe essere dovuti ai cambiamenti nei livelli delle proteine espresse, ma non è ancora noto attualmente che ruolo abbiano nel cancro le mutazioni di queste proteine.