Sofosbuvir in associazione a ledipasvir (Harvoni) ha mostrato una buona efficacia nel trattamento dell’epatite C cronica nei pazienti affetti da una forma recidivante della malattia e dotati di opzioni terapeutiche strettamente limitate o privi di tale possibilità.
Il sofosbuvir è il farmaco miracoloso dall’alto costo che sta continuando a dare risultati più che soddisfacenti per ciò che concerne il trattamento dell’epatite C. Anche nei casi più disperati perché legati ad un quadro clinico comprensivo di cirrosi scompensata, di malattia recidivante dopo un trapianto di fegato o di persone sottoposte ad un trattamento non andato a buon fine con degli antivirali ad azione diretta. Come spiega uno dei ricercatori che hanno lavorato alla sperimentazione relativa all’utilizzo di sofosbuvir in associazione al ledipasvir:
I pazienti con epatite cronica C e malattia epatica avanzata sono tra i più difficili da curare e in genere hanno a disposizione opzioni terapeutiche limitate (o nessuna opzione). I dati presentati dimostrano che il farmaco fornisce elevati tassi di guarigione ai pazienti con malattia epatica avanzata, così come a quelli che hanno fallito un precedente trattamento con altri farmaci antivirali, ivi inclusi i regimi terapeutici basati su sofosbuvir.
Il farmaco in sperimentazione è stato approvato dalla FDA statunitense lo scorso 10 ottobre con il nome di “Harvoni” ed è il primo farmaco di questo genere basato sull’assunzione di una compressa giornaliera per questo tipo di infezione. Il campione utilizzato in questo caso comprendeva oltre 500 pazienti affetti da epatite C di genotipo 1 con cirrosi compensata che hanno assunto questa associazione terapeutica dalle 12 alle 24 settimane ricevendo o meno contemporaneamente anche la ribavirina. Risultati positivi, ovvero la guarigione, sono stati registrati nel 96% dei casi, mentre si è in attesa della conclusione della sperimentazione in caso di pazienti affetti dalla malattia e da cirrosi scompensata o con HCV recidivante per i quali si può già anticipare una risposta efficace e positiva nell’86% dei pazienti del primo gruppo e del 98% nel secondo.
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