Meditazione, yoga: è verificato che queste pratiche siano capaci di apportare del benessere psicofisico a chi le mette in atto. Alcune di queste attività, ha recentemente scoperto un gruppo di ricercatori statunitensi, sono in grado di arrivare addirittura a “bloccare” l’attività dell’area cerebrale responsabile di stati d’ansia e dell’incapacità di vivere bene il presente. Lo studio a tal riguardo è stato pubblicato sulla rivista di settore Proceedings of the National Academy of Sciences.
Gli scienziati del Department of Psychiatry della Yale University School of Medicine di New Haven, guidati dal prof. Judson Brewer, si sono resi conto che attraverso degli esercizi di meditazione il corpo umano riusciva a fermare l’attività di una particolare area cerebrale, conosciuta sotto lo pseudonimo di DMN (default mode network, N.d.R.) che all’interno del nostro cervello funziona come una sorta di motore di ricerca automatico. Quest’ultima riversa nella nostra mente una serie interminabile di ricordi, idee, immagini ma soprattutto paure: in pratica tutto ciò che normalmente una persona cosciente vede affiorare al pensiero in modo autonomo e non controllabile.
Questo meccanismo è attivo per almeno metà del tempo che passiamo svegli e di frequente ci porta a “ricordare” degli eventi spiacevoli in grado di interferire con la nostra attività quotidiana e gettare le basi per una futura depressione.
I ricercatori hanno dimostrato, attraverso l’utilizzo della risonanza magnetica, come alcune persone specializzate in determinate tecniche di meditazione siano in grado di abbassare il livello di lavoro dell’area cerebrale citata (riscontrabile in parte nella corteccia prefrontale mediale e nella corteccia cingolata, N.d.R.) e di riuscire a mantenere questo beneficio anche nel corso del tempo trascorso senza meditazione. Le tecniche in questione sono chiamate: “concentrazione, amare-gentilezza e consapevolezza senza scelta” senza scelta e sono basate rispettivamente sul controllo del respiro, sul desiderare il bene degli altri e sul prestare attenzione al singolo pensiero senza forzature.
Secondo il prof. Brewer questa scoperta potrebbe indurre all’utilizzo della meditazione come trattamento per i disturbi psichici che coinvolgono l’area DMN tra i quali l’Alzheimer:
I risultati del nostro studio suggeriscono che la meditazione è capace di ridurre l’attività del DMN in maniera relativamente specifica e che il sistema è semplice da utilizzare e a basso costo; inoltre la meditazione ha anche il vantaggio di essere accessibile a molte persone a prescindere dal loro livello d’istruzione e dalla loro situazione socio-economica. Naturalmente, studi prospettici saranno importanti nel determinare se essa può davvero rinviare l’inizio della demenza di Alzheimer.
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Fonte: Pnas