C’è chi è malato di lavoro e chi con il lavoro si ammala. Ce lo spiega uno studio condotto dalla collaborazione tra ricercatori inglesi e finlandesi sugli effetti che un numero eccessivo di ore lavorative apporta alla psiche ed al fisico delle persone. Ed è stato ottenuto un risultato che non stupisce più di tanto. Lavorare più di undici ore al giorno favorisce la comparsa della depressione.
La ricerca, pubblicata sulla rivista di settore Plos One ha infatti rilevato come passare più di undici ore al giorno e quindi più di 55 giorni alla settimana in ufficio, tra scartoffie e documenti, aumenta di almeno due volte rispetto al normale il rischio di cadere in depressione. Dove normalità è sinonimo di impieghi che impegnano le persone alla scrivania dalle sette alle otto ore contrattuali.
Insomma, avere un orario più contenuto di lavoro fa vivere meglio le persone, migliorandone l’umore. Ad essere più colpiti dalla correlazione “lavoro-depressione” sono i giovani, costretti a lavorare di più per sostenere non solo le proprie esigenze finanziarie ma anche quelle famigliari, le donne e chi ovviamente guadagna poco e desidera aumentare le proprie entrate.
Lo studio ha rivelato che a salvarsi da questa equazione psicologica sono gli uomini che sì lavorano molto, ma sono impegnati in professioni impegnative e ben retribuite. L’arco di analisi preso in considerazione dagli scienziati ha riguardato un tempo cronologico di sei anni ed è caratterizzato dal fatto che all’inizio dello studio nessuno dei partecipanti presentava fattori di rischio legati alla depressione.
E’ stato questo il “led” che si è acceso immediatamente analizzando i risultati, portando alla scoperta di questo legame tra il troppo lavoro e la sindrome depressiva. Spiega la dottoressa Marianna Virtanen del Finnish Institute of Occupational Health di Helsinki:
Sebbene lavorare di più possa aver occasionalmente apportato a dei benefici individuali e sociali è altrettanto importante riconoscere che lavorare per troppe ore al giorno espone ad un rischio maggiore di depressione.
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Fonte: Plos One