Leucemia mieloide cronica: finalmente dopo tanti anni di studi in laboratorio si è raggiunta una cura che sembra funzionare davvero. E la speranza dei malati e dei loro familiari, insieme al duro lavoro degli specialisti, viene finalmente premiata.
Secondo un recente studio tutto italiano, pubblicato nei giorni scorsi sul Journal of the National Cancer Institute, l’aspettativa di vita dei malati di questo particolare tumore del sangue è pari a quella di una persona sana e posta sotto cura.
Questo tipo di leucemia, lo suggerisce il nome, è definibile di tipo cronico. Ciò che è stato evidenziato è che dopo due anni di trattamento con imatinib, anche i malati tornano ad essere uguali al resto della popolazione priva della patologia per ciò che riguarda le aspettative di vita e le probabilità di sopravvivenza.
La ricerca, condotta su 832 pazienti presi in considerazione in diverse parti del mondo, è durata quattro anni. Come spiega il coordinatore dello studio, il dottor Carlo Gambacorti Passerini, professore di Medicina Interna presso la facoltà di Medicina dell’Università di Milano-Bicocca:
Negli ultimi 11 anni imatinib ha cambiato la storia e la prognosi della leucemia mieloide cronica. Al momento però i pazienti devono assumere il farmaco per tutta la vita, con possibili effetti collaterali a lungo termine e con alti costi per la sanità pubblica. Per questo era fondamentale sapere quali sono le conseguenze a lungo termine di questo medicinale e saperlo attraverso uno studio indipendente (non finanziato cioè da industrie interessate alla vendita di imatinib o di molecole concorrenti, ma dall’Agenzia italiana del farmaco).
L’utilizzo di un farmaco per tutta la vita, se comparato con le scarse aspettative di vita di molte tipologie di tumore e di leucemia, sembra davvero un piccolo prezzo da pagare per poter condurre una vita sana, lunga, e soddisfacente.
Lo studio ha coinvolto i pazienti in remissione completa dalla malattia dopo due anni di assunzione della terapia e ha dimostrato che, nonostante la presenza di alcuni effetti collaterali, il tasso di sopravvivenza è rimasto elevato anche dopo otto anni di trattamento. Continua lo studioso:
Fra pazienti si sono verificati durante il follow-up 20 decessi, pari a un tasso di mortalità del 4,8 per cento, simile a quanto ci si aspetterebbe in un gruppo analogo di persone nella popolazione sana. E solo sei di questi decessi sono stati attribuiti alla presenza della leucemia.
L’aspetto più importante relativo al periodo di remissione è quello di tenere sotto controllo gli effetti collaterali e il conseguente abbattimento delle difese immunitarie, che spesso e volentieri portano alla comparsa di patologie correlate lesive per la salute.
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Fonte: Corriere della Sera