Con l’arrivo dell’estate, quello di ottenere una abbronzatura adeguata ed una colorazione della pelle di un certo tipo diventa la preoccupazione di buona parte della popolazione. A risentirne maggiormente forse, le persone caratterizzate da una carnagione chiara, più soggette ad arrossamenti e tumori della pelle. Pensate come cambierebbe la loro vita se si trovasse la maniera di abbronzarsi tramite una crema che stimoli la melanina, una abbronzatura genetica.
Un metodo che non favorirebbe solo coloro dalla pelle delicata, ma che sarebbe in grado di abbattere tutta una serie di problemi derivanti dall’esposizione estiva ai raggi ultravioletti, data la tendenza della popolazione a non utilizzare delle creme protrettive solari, necessarie nei primi giorni, anche per chi ha la pelle scura. Come spiega Natale Cascinelli, presidente del gruppo Melanomi dell’OMS:
Bisogna fare un saggio uso delle creme solari. Evitano le scottature. Se noi usiamo quelle ad alta protezione aboliamo il segnale dall’allarme rappresentato dalle scottature, quindi può accadere che, non scottandosi, si creda di potere restare sotto il sole per parecchie ore appena si arriva al mare, quando non si è ancora abbronzati. Ma in questo modo ci esponiamo al rischio degli effetti nocivi più gravi a lungo termine dei raggi ultravioletti sulla pelle, fra cui quelli che portano alla formazione dei tumori.
Ciò non significa non doversi proteggere, ma doverlo fare con cognizione, almeno fino a che gli americani, attualmente impegnati nello studio dedicato, non riescano a dar vita all’abbronzatura genetica. Dovesse divenire una realtà, non ci sarebbe più bisogno di cuocersi al sole per ore, o utilizzare i lettini solari. Il risultato potrebbe poi non essere troppo lontano dall’essere raggiunto. I ricercatori del Massachusetts General Hospital, coordinati dal dott. David Fisher hanno recentemente pubblicato sulla rivista Genes and Development un articolo che racconta la loro ricerca: gli scienziati sono riusciti a scurire la pelle di alcuni animali, senza esporli alla luce del sole.
Il risultato è stato ottenuto disattivando un particolare gene , il PDE-4D3, in soli 5 giorni.
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Fonte: Corriere della Sera