Avete mai pensato di donare il vostro corpo alla scienza? Un tema molto controverso questo, che per motivi sociali e religiosi spesso non viene affrontato. Eppure è attuale perché in Italia mancano risorse di questo genere per far studiare futuri medici e, come paese, importiamo corpi dall’estero. Quale è il vero problema alla base di questa carenza?
L’allarme viene lanciato dall’Aicpe, l’Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica, ma è un problema che riguarda quasi ogni branca medica, a partire dalla chirurgia tradizionale. Come si può pensare che i giovani medici imparino ad utilizzare perfettamente gli strumenti del loro lavoro se non hanno la materia prima sulla quale esercitarsi? A dirlo è molto semplice, ma analizzare la questione dal punto di vista di una persona che sta pensando o meno se donare il proprio corpo alla scienza è tutt’altra cosa. Dove risiede il blocco? Essenzialmente in una sorta di attaccamento al proprio organismo. Personalmente posso portare un esempio: possiedo un biglietto tra le mie proprietà personali che esprime il mio consenso alla donazione degli organi, le persone a me vicine sanno di questa mia volontà, ma non riesco a pensare al fatto che il mio corpo possa non avere un funerale o rimanere “in pace” una volta morta, e questo nonostante abbia espresso preferenza per la cremazione post mortem.
Un controsenso? Forse. Non molti sanno che quando si vuole donare il corpo alla scienza, lo si può fare sia a tempo illimitato, sia a “tempo determinato”. Basta lasciarlo scritto nelle proprie volontà e una volta eseguito il funerale, il corpo viene poi donato agli istituti di ricerca per un periodo che varia da qualche settimana fino a diversi mesi, salvo poi essere tumulato normalmente. Insomma, le possibilità sono molte, si tratta di una pratica avallata addirittura dalla Chiesa. Eppure non se ne parla per niente. Forse è colpa della nostra reticenza, forse non riusciamo emotivamente a pensare di non “percorrere” un sentiero socialmente prestabilito come quello della tumulazione. Quel che è certo è che l’informazione in merito è poca e che forse, con un po’ di attenzione in più in tale ambito, non saremmo costretti a ordinare dei corpi umani dall’estero da riconsegnare dopo la “pratica”.
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