C’è chi al mattino proprio non può farne a meno. Per carburare e tornare nel mondo dei vivi c’è soltanto una cosa da fare: una bella tazzina di caffè. E c’è chi invece lo ha abbandonato da tempo come un brutto vizio, pensando di mettersi al riparo da un pericolosissimo veleno e di aver guadagnato preziosi anni di vita. I suoi effetti, con quelli del cacao e del tè, sono tra i più studiati al mondo. Probabilmente, anche per l’allarmismo diffuso alcuni anni fa, poi smentito, che vedeva il caffè come uno dei maggiori responsabili di infarto e ictus. Oggi si può parlarne più seriamente, vista l’enorme mole di studi disponibili.
Tra gli effetti più studiati ci sono le sue proprietà antidolorifiche, nel senso che diversi studi hanno rivelato che la caffeina potenzia l’effetto dei classici analgesici, soprattutto nel combattere il mal di testa. A differenza poi di quanto si pensava un tempo, sembra che il caffè svolga anche un effetto preventivo sulle malattie cardiovascolari e sulle infiammazioni, grazie alle proprietà antiossidanti dovute alla presenza di polifenoli. Meglio comunque non consumarne in quantità eccessiva e limitarsi alle classiche tre tazzine al giorno.
Ad alte dosi, in effetti, presenza di alcuni composti lipidici chiamati diterpeni può alzare livelli di colesterolo. Va detto però che la preparazione cosiddetta “all’italiana“, che non lascia in infusione nell’acqua la polvere ma ne estrae le essenze gustose e aromatiche, fa sì che i componenti dannosi non passino nella bevanda. E non serve nemmeno chiedere il decaffeinato: il processo per togliere la caffeina infatti lascia inalterati i diterpeni.
Gli effetti negativi sulle coronarie e sul cuore si vedono quindi soltanto se le dosi sono elevate, oltre le 7-9 tazze al giorno: aumentano i livelli di omocisteina che, assieme al colesterolo, è un indicatore del rischio coronarico e può provocare disturbi del ritmo cardiaco e innalzamento della pressione.
Il decaffeinato lo devono certamente preferire quelli che soffrono di acidità gastrica. Ma non basta: occorre, infatti, eliminare tutte le bevande che contengono caffeina per evitare problemi di stomaco. Ed è altrettanto importante diminuire il volume dei pasti e le bevande gassate o alcoliche. Un classico caffè a fine pasto sembra invece utile a chi, al contrario, fa fatica a digerire. Stimola la produzione della bile e lo svuotamento della cistifellea e sembra addirittura avere un effetto preventivo sulle malattie del fegato, a patto di non esagerare.
Ma se si soffre di mal di pancia o stitichezza meglio tenersene lontani in ogni caso. I suoi effetti sull’intestino possono essere negativi: fa contrarre la muscolatura intestinale e facilita la perdita di liquidi attraverso un’azione diuretica. Due conseguenze sgradevoli sia per chi va troppo in bagno sia per chi ci va troppo poco. C’è poi chi, pur apprezzando l’aroma e il gusto del “nero elisir”, non tollera gli effetti sul sistema nervoso. Tra gli effetti riconosciuti dalla scienza ci sono le proprietà stimolanti che lo rendono adatto a dare una sferzata di energia e una rapida sveglia quando si vuole essere prontamente efficienti dopo una breve pausa.
Il caffè ha anche un effetto positivo sull’attenzione e sulla memoria. In alcuni, però, la caffeina può provocare crisi di ansia o intense palpitazioni. Oppure, più semplicemente, una notte in bianco se si è predisposti all’insonnia. In questi casi meglio chiedere un decaffeinato, che offre tutte le sostanze e i profumi presenti nella tazzina tradizionale, senza effetti stimolanti. Il processo di decaffeinizzazione infatti si esegue sul chicco non ancora tostato con vapore acqueo, anidride carbonica o sostanze chimiche e lascia intatte le proprietà del caffè, estraendone soltanto la caffeina, unica responsabile dell’effetto eccitante. Gli effetti sul sistema nervoso non si limitano alla ricarica di energia: sembrano svolgere una vera e propria azione protettiva verso malattie degenerative del sistema nervoso come il morbo di Alzheimer e quello di Parkinson.
Da http://www.consumercare.bayer.it/ebbsc/export/sites/cc_it_internet/it/Sapere_and_Salute/articoli/Maggio_2010/01_Alimentazione.pdf