I bambini sono un grande contenitore, in cui si può mettere dentro di tutto; il problema è che si tratta di un contenitore speciale, che non rimane inerte alle sollecitazioni: lì dentro tutto viene elaborato, rimescolato, per cui alla fine, se abbiamo messo acqua, farina e lievito, ci ritroviamo una bella pagnotta fumante e ben cotta se la quantità degli ingredienti era corretta, se la qualità delle materie prime buona, se il tempo di cottura giusto. Viceversa, anche sbagliando uno solo di questi processi, potremmo ritrovarci con una mass fumante e bruciacchiata, o con un impasto che non accenna a cuocersi perché la temperatura del forno è troppo bassa. Questo per dire che l’attività fisica, e sottolineo che non si sta parlando di sport, è fondamentale, ma bisogna procedere con attenzione, per non commettere errori di cui pentirci più tardi.
Un tempo, fino agli anni ’80 grosso modo, si giocava per strada, nei vicoli, nei giardini, insomma il gioco era movimento allo stato puro, praticato dalla mattina alla sera d’estate, tutto il pomeriggio nel periodo scolastico: il gioco “bandiera” sviluppava le capacità di destrezza, velocità, rapidità; con il “nascondino” aumentava la furbizia e la capacità di leggere le situazioni per non farsi scovare, con le miniolimpiadi (ognuno di noi le ha organizzate con gli amici) era un susseguirsi di corse, lanci, salti che mettevano a repentaglio fiori dei giardini e vetri di finestre, ma la forza elastica, reattiva, esplosiva venivano curate in maniera “inconsapevolmente quotidiana”.
Ora, invece, è tutto organizzato, regolamentato e sottoposto a rigida disciplina, dallo sport (inteso come attività codificata già a pochi anni di vita) alle altre attività, come musica, lingua straniera, eccetera. Perciò c’è un’iperspecializzazione che, se da un lato permette di acquisire i rudimenti tecnici di una determinata disciplina, dall’altro impedisce la crescita parallela delle qualità fisiche non interessate da quella attività; assurdamente, a sei-sette anni si è capaci di fare un servizio a tennis in modo impeccabile e non si è in grado di effettuare una capriola; questa caratteristica si accentua sempre di più nel tempo, perché i risultati sportivi vengono conseguiti a un’età molto più precoce che in passato.
Pertanto è opportuno fare un deciso passo all’indietro: poiché lo stile di vita è indiscutibilmente mutato, e anche i bambini hanno scoperto la sedentarietà, prima di scegliere uno sport è necessario riappropriarsi del movimento e imparare a sentire il proprio corpo attraverso il miglioramento della coordinazione. Si dice spesso, ed è vero, che l’atletica leggera è la regina di tutti gli sport: allora, cominciamo dai nostri bambini, che, prima di intraprendere qualunque disciplina specifica, dovranno essere capaci di correre, saltare, lanciare una pallina.
Maschi e femmine indistintamente, prima di arrivare a 8 anni, devono praticare, in modo non esasperato ma costante, i campi di atletica leggera: in ogni città o paese sperduto ce n’è uno, con bravi educatori (non sto parlando di allenatori) che insegneranno tutto quanto c’è da apprendere per poi magari successivamente scegliere un altro sport. Se d’inverno la neve non arriverà alle ginocchia e la pioggia non allagherà piste e pedane, i bambini impareranno a “giocare allo sport” con il freddo e all’aria aperta, che, salvo condizioni estreme, non hanno mai devastato nessuno.
Una possibile e valida alternativa a questa proposta, specialmente per le bambine, la ginnastica artistica o ritmica, in cui, ancora di più, si riscoprono e si potenziano doti di forza, elasticità, acrobazia, equilibrio. Un approccio particolare merita un disciplina completa come il nuoto; a partire dalle scuole, dovrebbero essere organizzati dei corsi essenziali, per imparare a nuotare, e solo successivamente si dovrebbe dare al bambino la possibilità di praticarlo in maniera intensiva, con finalità agonistiche.