Si celebra oggi in tutto il mondo la Giornata mondiale per la lotta all’Aids che quest’anno ha uno slogan particolare che da speranza, che illustra come la vittoria definitiva contro questa malattia sia vicina: Getting to zero: ovvero zero morti, zero contagi e zero discriminazioni! Come abbiamo avuto modo di raccontarvi, in più occasioni, i risultati scientifici circa nuovi vaccini contro l’HIV e le cure attualmente in uso stanno dando ottimi risultati, ma la prevenzione rimane sempre l’arma principale, da praticare con l’uso del preservativo. E’ per questo che oggi voglio raccontarvi la storia di Hanna, una ragazza che ho conosciuto tempo fa, sieropositiva.
Vive in Italia da tempo, ma è americana di origine. Studiava arte e l’Italia è stata la sua prima vera vacanza, sognata, agognata a tal punto da rimanere a viverci. A casa aveva lasciato però tanti amici ed uno di questi in particolare, dopo un anno di lontananza e tante mail era venuto a trovarla. Da lì la scintilla e la scelta di fare l’amore, utilizzando coscientemente il profilattico, che però l’amico, in corso d’opera ha deciso di togliere: probabilmente non lo aveva messo bene e gli dava fastidio. Hanna ha accettato. Dopo neppure un mese sono iniziati una serie di sintomi riconducibili ad influenza, come la febbre che andava e veniva, brividi e malessere generalizzato. Una visita ha individuato la presenza di clamidia ed herpes genitale che ha cominciato a curare. Non ha voluto fare il test dell’HIV che pure le era stato consigliato, non potevano esserci rischi, in quell’unica fugace occasione con l’amico americano. Dopo un anno, tra alti e bassi, un linfonodo ingrossato dietro al collo e l’insistenza del dottore per il test dell’HIV, risultato positivo. Hanna mi ha raccontato così quel giorno:
“Mi hanno chiamato al telefono per dire di andare, che c’erano i risultati, ed ho capito che qualcosa non andava. Per strada ero confusa non riuscivo a mettere a fuoco nessun pensiero, non riuscivo a respirare, non sapevo neppure dove la macchina mi stava portando. Poi sono arrivata. Non sono servite parole, ma uno sguardo: mi hanno dato un foglio dove c’era scritto HIV positivo. Sono scoppiata a piangere e poi cercando di riprendere un po di contegno ho domandato se sarei potuta morire a breve, se avrei sofferto, e se proprio non c’erano speranze di guarigione … una valanga di dubbi a raffica e poi l’ultimo: perché proprio a me? Come è possibile? Ma la risposta la sapevo: un banale e stupido momento di accettazione. Ed il senso di colpa nei miei confronti e la rabbia, sono andati a coprire le sensazioni di paura che avevo avuto fino a pochi secondi prima”.
Il test 2 anni fa. Hanna sta bene, è circondata da persone intelligenti e che le vogliono bene, lavora e trova anche il tempo per un’associazione che si occupa di volontariato. E’ in cura e sotto controllo. Concludo questo racconto con le sue parole:
“La paura di morire c’è, ma la morte non è l’unica certezza della vita? Toccherà a me come a tutti e non necessariamente a causa dell’aids: potrei finire sotto un autobus, magari fra 60 anni! Io cerco di pensare sempre positivo, oggi non si muore più come negli anni passati e sono fiduciosa. La cura definitiva è vicina, per me e per tutti quelli come me”.
Ed ha ragione.
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