Un vaccino contro l’Alzheimer. È questo il brevetto registrato da due importanti strutture italiane del Consiglio Nazionale delle ricerche: l’Istituto di genetica e biofisica (Igb) e l’Istituto di biochimica delle proteine (Ibp). Un vaccino protagonista di uno studio pubblicato sulla rivista di settore Immunology and Cell Biology, che agisce, al pari di sostanze di pari azione, producendo anticorpi contro il peptide tra i colpevoli di questa demenza, il beta-amiloide.
Si tratta ovviamente di una vaccinazione di nuova generazione. Si chiama (1-11)E2 ed innesca nel nostro organismo una risposta immunitaria contro questa sostanza che nei malati di Alzheimer tende ad accumularsi causando poi dei danni, come risaputo, alla memoria ed alle capacità cognitive. Il Cnr ha richiesto, dopo aver ottenuto il brevetto nazionale, anche quello internazionale. Cerchiamo di capire insieme il funzionamento di questo vaccino.
La molecola utilizzata è formata da una proteina “chimerica, ovvero formata dalla fusione di due diverse proteine: un piccolo frammento del beta-amiloide (la proteina incriminata, n.d.r.) ed una proteina batterica. In laboratorio questo “mix” è in grado di assemblarsi da solo creando una sorta di “virus” a livello genetico.
Spiega il coordinatore della ricerca:
Sono ormai 10 anni che ricercatori di tutto il mondo stanno esplorando la possibilità di prevenire l’Alzheimer con un vaccino: le prime sperimentazioni sull’uomo hanno acceso molte speranze, ma anche evidenziato possibili effetti collaterali gravi, che ne impediscono l’utilizzo. Usando il bagaglio di esperienze accumulato, abbiamo messo a punto la molecola (1-11)E2, cercando di minimizzarne i rischi per l’organismo e di ottimizzarne l’efficacia terapeutica.
Al momento la sperimentazione riguarda esclusivamente il modello animale, e sta lavorando sulla necessità di convogliare questa azione “risolutrice” solo sui bersagli cellulari desiderati. Una necessità primaria da soddisfare prima di pensare di trasportare l’utilizzo della molecola sull’uomo. Ciò non toglie che i risultati fino ad ora ottenuti possano essere considerati un ottimo punto di partenza per la prevenzione e la cura di questa patologia.
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Fonte: Immunology and Cell Biology