Quello dei trapianti è uno dei protocolli più complessi tra quelli messi in atto dalla medicina moderna. Sicurezza e qualità devono rappresentare la parola d’ordine in questo ambito. Non tutti i paesi del mondo, per motivazione spesso non derivanti dall’impegno profuso non riescono a rispettarlo.
Per tal motivo nasce Thebera, il primo progetto di cooperazione internazionale di settore finanziato dall’Unione Europea. Un progetto che porta l’Italia a confermare il suo ruolo all’avanguardia. Il primo paese a beneficiarne sarà l’Egitto.
Uno dei primi problemi da risolvere in Egitto è quello dell’incidenza di Epatite C e della sua diffusione. Un evolversi da seguire a partire dalla diagnosi fino ad arrivare al trapianto. Un percorso per il quale è necessario portare il paese mediorientale agli standard europei e mondiali al fine di salvare più persone possibili.
Come spiega Franco Filipponi, Ordinario di Chirurgia Generale dell’Università di Pisa:
Il progetto va ad incidere in una situazione sanitaria molto particolare poiché l’Egitto detiene il primato mondiale di diffusione dell’epatite C con delle stime di prevalenza della malattia dall’11 al 14%. Tenuto conto che circa il 40% dei trapianti di fegato sono causati dall’HCV, è chiaro come la malattia rappresenti un delicato problema sanitario ma anche sociale.
L’Italia è uno dei paesi più adatti ad affrontare tale progetto, spiegano gli esperti, perché anche nel nostro paese l’epatite C presenta una incidenza molto importante, e si trova aal pari dell’Egitto, ai primi posti tra i paesi per numero di trapianti di fegato causati da questa patologia. Continua il luminare:
Negli anni la comunità scientifica italiana ha imparato a conoscere e curare la malattia, in alcuni casi anche con il trapianto. Siamo quindi in grado di fornire il giusto supporto medico scientifico e, contemporaneamente, analizzare le politiche locali per sviluppare un piano nazionale di trapianto epatico.
E conclude:
La rete trapiantologica italiana, seconda solo alla Spagna in Europa, garantisce già da tempo gli elevati standard di qualità e sicurezza richiesti dall’UE e possiede il know-how per intervenire su sistemi sanitari come quello dell’Egitto, dove, nonostante le diversità culturali in gioco, attraverso programmi ad hoc di formazione, ricerca e innovazione tecnologica, è possibile avere ricadute positive sull’assistenza, la qualità della vita del paziente e quindi l’intera collettività.
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