E’ nato un bambino con il DNA di 3 genitori in Messico. La tecnica utilizzata, chiamata “fecondazione in vitro con tre genitori“, è stata messa a punto per consentire alle donne alla ricerca di un figlio di non trasmettere malattie ereditarie gravi alla propria prole.
Il piccolo è nato 5 mesi fa ma si è voluto attendere nel dare la notizia. Questa è stata diffusa dalla rivista di settore New Scientist. In pratica il piccolo ha il DNA della madre, quello del padre ed una piccola parte del codice genetico di una donatrice. Questa procedura infatti ha dato modo di sostituire i mitocondri difettosi della cellula uovo della madre con quelli di una donatrice sana.
Nel caso specifico del piccolo Abrahim, questo il suo nome, si voleva evitare che soffrisse della Sindrome di Leigh. Essa è una malattia neurologica progressiva che colpisce il sistema nervoso centrale e in particolare il tronco cerebrale e il cervelletto. La sua manifestazione avviene di solito tra i tre mesi ed i due anni di età, ma può manifestarsi anche in seguito. Si tratta di una patologia rara di origine genetica. I sintomi principali sono un ritardo dello sviluppo psicomotorio, vomito ricorrente, irritabilità, epilessia, acidosi lattica, ipotonia e perdita dell’appetito. Come viene sottolineato dai ricercatori di Telethon, l’aspettativa di vita nella maggior parte dei casi è ridotta a pochi anni.
Al momento la tecnica della fecondazione in vitro con tre genitori è stata approvata legalmente solo in Gran Bretagna. In Messico non vi è una regolamentazione specifica che possa vietare questo tipo di intervento. Prima di Abrahim vi furono dei tentativi simili negli anni ’90 da parte della ricerca, ma la procedura fu abbandonata perché i bambini venuti alla luce manifestarono disturbi genetici. Cosa che non sembra essere accaduta per il momento con il piccolo nato ad aprile.
La quantità di DNA ereditato dalla donatrice esterna sana è pari allo 0,1% del totale: piccola ma sufficiente ad evitare lo sviluppo della sindrome ed a trasmettere questa modifica ai propri eredi.
Photo Credit | New Scientist