Una serie limitata di iniezioni di steroidi per le donne in gravidanza ad alto rischio di partorire prematuramente può scongiurare gravi problemi per il bambino, ma più iniezioni non daranno ulteriori benefici. E’ quanto accertato in un recente studio da ricercatori canadesi. Da studi precedenti, era noto che somministrare alle donne a rischio un unico ciclo di iniezioni di corticosteroidi riduceva il rischio di mortalità del bambino, così come diminuiva le probabilità di emorragia cerebrale o ancora di problemi respiratori causati dai polmoni sottosviluppati. Gli steroidi, infatti, accelerano lo sviluppo dei polmoni e dei vasi sanguigni nel feto.
Ma la recente ricerca, pubblicata sulla rivista medica Lancet, ha dimostrato, utilizzando un campione di 1858 donne di 20 diversi Paesi, che ulteriori iniezioni ogni 14 giorni non migliorano affatto la salute del nascituro ed effettivamente portano proprio ad un rallentamento della crescita del feto.
Tutte le donne partecipanti allo studio hanno effettuato un primo ciclo di iniezioni. Dopo di che, circa la metà ha ottenuto ulteriori iniezioni ogni due settimane fino alla 33a settimana di gravidanza. Come spiega il dottor Kellie Murphy della University of Toronto e del Mount Sinai Hospital di Toronto:
I principali risultati del nostro studio sono stati che non vi era alcun beneficio da ripetuti cicli di iniezioni e che dunque risulta inutile continuare a somministrare steroidi fino al parto.
Rispetto ai bambini nati dopo nove mesi, i neonati prematuri hanno un rischio più elevato di problemi di salute, come malattie polmonari e problemi gastrointestinali, ritardo mentale, paralisi cerebrale, disturbi visivi e perdita dell’udito. Inoltre hanno anche maggiori probabilità di morire poco tempo dopo la nascita.
Alcuni medici somministrano in via preventiva alle donne che sono ad alto rischio di avere un bambino prematuro più di un ciclo di iniezioni di steroidi, convinti che questo potrebbe aiutare il bambino in via di sviluppo, ma la validità di questa terapia è poco chiara. Giovanni Scandicci della University of Western Australia ha commentato lo studio di Murphy, avvertendo le ostetriche di essere prudenti e di non prescrivere ulteriori iniezioni di steroidi.